Siamo stati al Tribeca, di venerdì, dopo una cena al ristorante etiope (capitolo a parte) e al Tribeca c’era la stagnola su tutte le pareti. Le stagnole erano nuove, e ci siamo domandati quanto ci avessero messo a impacchettare tutto col domopak.
Giorni.
C’era quel gruppo a suonare, quel gruppo di sole donne di cui non ricordo il nome, che aveva collaborato con Battiato, suonavano al Tribeca e l’impressione era che la gente non le prendesse molto in considerazione.
La musica faceva vibrare le pareti di stagnola.
Ecco tutto.
(In verità la serata era bella, l’installazione e le opere di B. R. erano belle, la musica pure bella, la stagnola in generale un elemento che mi faceva sentire a mio agio, in conclusione io stavo bene. C’erano almeno due discorsi in testa a cui non pensavo, ma che avevo sentito prima di arrivare e che quindi condizionavano il mio modo di leggere la serata:
1) “Ehi, ciao, che fai dopo?”
“Ma niente, sono qua in giro…”
“Ma passa al Tribeca che c’è una serata interessante…”
E c’era, questo voglio dire, c’era un piacere estremo nel pronunciare la parola Tribeca, come se fossimo davvero in zona Canal Street;
2) Dal paninaro più lurido, le laureate in filosofia che mi preparavano il panino, dicevano: “Che schifo Tribeca e che schifo quelli come te che ci vanno, che comprano libri e nemmeno li leggono”. Peggio ancora quelle che snobbano Tribeca, pensavo togliendomi i pezzi di salsiccia dai denti).