A questo giro proviamo La Dolce Vita, un bar in via Traversa Pistoiese a Prato. Il posto si trova facilmente e c’è anche un piccolo parcheggio vicino. E’ mercoledì e il locale non è pieno, davanti al bancone ci sono varie persone che chiacchierano col personale e stanno facendo il loro buon aperitivo, tenendo bicchieri di varie forme e colori. Mi fa pensare che ci sanno fare e in effetti ho sentito dire che ci sia un bartender veramente in gamba qui. Mi lancio nelle richieste della serata da indecisa, chiedendo un drink che abbia vodka oppure rum o tequila, e che non sia troppo dolce. E sì, anche una fettina di limone come si dice da queste parti, grazie.
Mi viene proposto un White Lady con la vodka al posto del gin. Conosco l’argomento, l’ho già assaggiato di recente con soddisfazione e accetto volentieri. “Con ghiaccio o nella coppetta?”. Lancio una monetina mentale e con risolutezza proclamo: “Coppetta, grazie”. Mi viene servito col suo pallido colore, acceso solo da una ciliegina in fondo al bicchiere che non mangerò mai perché non mi è mai piaciuta, al pari di ogni candito, ma ci sta bene. Mi avvicino alla zona buffet che è piuttosto ricca e varia e rimango colpita dallo stracchino e dalla salsiccia cruda, serviti in due vassoi diversi e belli pieni.
Mi piace questa idea! Un classico mix adatto a qualunque crostino da infornare ma anche golosissimo in versione fresco e crudo. Ovviamente due belle cucchiaiate non me le leva nessuno. Per il resto ci sono verdure di vario tipo, formaggi con le classiche marmellatine e panini tagliati in più parti da mangiare in due morsi e mezzo ben farciti, molto buoni. C’è una parte esterna per i fumatori, io mi siedo nella sala grande dove stasera i tavoli sono quasi tutti liberi. Noto che del film da cui prende il nome il locale non c’è granché, ci sono solo delle grandi stampe di un fotografo e dei vini in bella vista. Assaggio il mio White Lady. Cavolo, non mi avrà viva. Mentre mi domando cosa ho fatto di male, mi viene fatto notare che me l’ha fatto l’altro bartender, non quello super.
Mi viene da strizzare gli occhi come nel peggio shot, è veramente troppo forte, tanto da evitare di berlo e infatti non lo finisco. Verso la metà decido di provare con qualcos’altro e vado decisa a chiedere un Capirinha, saltello davanti al tipo “giusto” per farmi notare il quale alla mia richiesta pensa bene di rivolgersi al collega “Lo fai te? Ce la fai?”. Ecco, questa battuta nel mio caso era davvero fuori luogo, e con lo sguardo glielo domando anche io. Inizia un breve scambio di battute tra i due, nelle quali cercano di coinvolgermi. “Sai, non è sempre così, a volte anche peggio” dice il mio bartender.
Sorrido, l’altro forse è un po’ spocchioso ma non mi dà fastidio se ci sai fare dietro il bancone. E di sicuro non lo scoprirò stasera visto che ha delegato. Dai ragazzo, hai l’occasione per riprenderti. Ci siamo, assaggio… Oh, davvero buono. Quando pago questo secondo drink non posso fare a meno di dire quanto era forte il primo. Un po’ per sfogo, lo ammetto, ma insomma, io al posto suo lo vorrei sapere, credo sia sempre utile un feedback. Comincia a domandarsi giustamente come mai: troppo cointreau? Eppure c’era mezzo limone dentro… Lo guardo alzando le braccia.
Però aggiungo ovviamente che l’ultimo era ottimo. Me ne vado non con l’amaro in bocca, concludendo che un aperitivo qui ci può stare tranquillamente, tra l’altro so che è un locale molto frequentato. E se non tutte le ciambelle vengono col buco ci sono varie soluzioni per far presente il difetto (e nel mio caso spesso non ne posso fare a meno), è un’arte anche questo. L’ho imparato a mie spese e talvolta con l’imbarazzo dei miei commensali, ma questa è un’altra storia.