“Questo sito è veramente una schifezza!”
“Già, non si capisce dove li trovino questi programmatori”
“Pazzesco!”
“Non mi resta che accettare tutte le condizioni generali senza leggerle”
“Vai! Accetta!”
“Ecco fatto”
Una mano sulla fronte a incorniciarle uno sguardo concentrato. Gli stessi occhi di sua madre valdostana che si muovono verso lo schermo, in molte direzioni, verso i tasti e poi di nuovo su, allo schermo, che io, dalla mia posizione, non posso vedere. E poi, dopo aver impostato una password (è la somma dei nostri nomi con le iniziale in maiuscolo – forse la cosa più romantica che abbiamo mai fatto in vita nostra) non rimane che passare a registrarci in uno dei posti dove, mi immagino, faranno una fotocopia della mia patente e spediranno un fax al Ministero, così avremo la nostra macchinina del futuro.
Potremo tornare da Prato la sera, invece di dormire nella stanzetta dei figli nati dai precedenti compagni dei nostri amici. Non dovremo più correre verso la stazione di Porta al Serraglio schivando le ronde di valenti cittadini, e gli immigrati, e i giovani bulli delle undici e ventitre di notte per prendere l’ultimo treno disponibile. Finalmente potremo tornare a Firenze di sabato sera ad orari più dignitosi per dei trentenni come noi, senza figli e senza futuro.
Permane in me, una volta scaricata anche la applicazione sul cellulare e perlustrando sulla mappa i puntini che mi circondano, una certa ansia dovuta al fatto che le macchinette poi dovrò anche guidarle, e non solo virtualmente. Sento montare dentro un timore al pensiero del cambio automatico: per quei soli due pedali che provai a schiacciare tanti tanti anni fa, e da allora mai più.