Ho fatto tutto, ho visto tutto. Capodanni italiani, finiti a bere grappa e ballare musica afro al Macrolotto. Capodanni cinesi finiti in piazza del comune, a scaldarci dentro i bar letterari del centro di Prato.
Il capodanno ha perso tutta la sua importanza, io credo, non me ne voglia nessuno, ma l’anno non scorre in questo modo: l’anno finisce a luglio, o ad agosto, o forse non finisce mai, comunque è certo che inizia a settembre. Un tempo forse, quando si era rurali, allora può darsi, ma anche di questo non sono sicuro, che l’anno cominciasse a marzo, quando si risvegliano le piante e la terra. A quel tempo novembre era il nono mese, dicembre il decimo, insomma tutto era al suo posto.
Così questo tempo dei calendari d’oggi che non rispecchia nulla si rifletterà forse nella celebrazione di una fine che non sancisce nessuna fine?
Posso solo dire qualcosa sul giorno dopo il capodanno, sia esso italiano o cinese, e sono giornate orribili, passate per lo più sul divano in uno stato di coma vigile, quando va bene, quelle giornate in dopo sbronza che viene da chiedersi cosa abbiamo fatto di male per arrivare a renderci così dolorosa la vita, e l’inizio dell’anno (sia esso reale o anche solo apparente) risulterà in quelle giornate lontano, ancora posticipato.
Il primo dell’anno, sì, ma riparliamone domani.