Ricordo il museo Pecci di Prato, quando non era ancora un’astronave d’oro, ma una fabbrica di tessuti speciale.
Ricordo di finestre sul tetto, come quelle di un’azienda di filati. Lunghe finestre inclinate a formare dei triangoli, come delle Enne messe l’una accanto all’altra. NNNNN. Per far entrare più luce, ci disse la guida.
Ricordo una mostra di Mimmo Paladino, ma non ricordo se mi piacque.
Ci portò in gita scolastica il mio professore d’arte del liceo, come era bello quell’uomo che amava andare in bici e amava portarci in gita scolastica.
Sandro Bruscoli era il suo nome: e bisogna che io dica adesso che era un brav’uomo e un bravo professore. Fu lui che ci portò alla Biennale, lui che ci portò in gita a sciare e sempre lui che ci portò al Pecci. Prima che diventasse astronave d’oro, quando era ancora quasi un semplice capannone alla uscita Prato Est.
Ricordo anche di una enorme zanna di cemento, adagiata lungo la tangenziale. Mi faceva pensare ai mammut. Dio quanto amavo i dinosauri da bambino. Anche se i Mammut nello specifico gettavano una luce inquietante, sul tema dinosauri. Una luce crepuscolare.
Ma questo era tanto tempo fa, quando si andava in gita scolastica e le astronavi d’oro non esistevano ancora.