“mi interesso di molte cose: cinema, teatro, musica, fotografia, leggo”
“e concretamente?”
“non so cosa vuoi dire”
“come non sai? che lavoro fai?”
“nulla di preciso”
“come campi?”
“te l’ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, faccio cose…”
“e l’affitto?”
Nanni Moretti, Ecce Bombo
“Non possiamo avere paura di una data”: l’ha detto il sindaco Matteo Biffoni ieri sera in un poco affollato incontro al Pecci che si preannunciava, almeno su carta, un evento in cui sarebbero state svelate tante novità riguardanti la grande riapertura del Centro d’arte contemporanea nuovo di zecca e tirato a lucido.
La data di cui bisognerebbe aver paura è il 16 ottobre 2016, inaugurazione del centro, annunciata già da qualche giorno sulla stampa locale. “E’ arrivato il momento – si legge sull’invito alla serata – di concentrare l’attenzione su questo importante evento per la città, sulla mission e sul futuro del Centro Pecci, attraverso strategie, programmi e prospettive”. Forse le aspettative erano alte, ma ieri sera non è stato detto molto, almeno riguardante l’evento di riapertura.
L’incontro era l’appuntamento conclusivo del ciclo voluto dal direttore Cavallucci per conoscere tutti i protagonisti della città di Prato, dai giovani agli industriali, dalla comunità cinese alle associazioni culturali. Il direttore del Pecci ha preso appunti per un anno durante questi incontri e ieri sera avrebbe dovuto dire (almeno qualcuno lo sperava) quali sarebbero state le “strategie, programmi e prospettive” del centro che si andrà a inaugurare a ottobre.
Così non è stato. Si è un po’ ripetuto a una platea non certo delle grandi occasioni tutto quello che si sente dire sul centro Pecci da mesi: “le varie forme d’arte si mischieranno tra di loro in questo centro”, “il museo come lo conosciamo non esiste più”, “collaboreremo e creeremo sinergie con Firenze e Pistoia”, “Prato città contemporanea”, “gli incontri che il Pecci ha proposto in questi mesi da chiuso sono stati affollatissimi”, “i cittadini devono far proprio questo luogo e viverlo”.
“Ok, benissimo. E dal 16 ottobre cosa accadrà?”: da ieri intanto è attiva la nuova Fondazione per le Arti contemporanee in Toscana e si è presentata al pubblico la neo presidente Irene Sanesi.
“Sì, ma quindi?”: Alcune piccole novità Cavallucci ieri sera le ha presentate, disegnando un profilo ipotetico del Pecci che ha in testa (disegno non confermato ufficialmente e che si spera, data l’imminente inaugurazione sia più che nella testa del direttore) che traccerebbe un centro “delle culture contemporanee”: un Pecci che potrebbe aprire in tarda mattinata e chiudere la sera tardi, per dar la possibilità a chi lavora e chi viene da fuori città di poterlo visitare anche in orari “desueti”, con un nuovo sito web in cui si parla e ci si confronta sull’arte contemporanea in Italia; un centro che si interesserà al cinema (“non proietteremo film che si trovano nelle sale dei cinema comuni” ci tiene a precisare Cavallucci), la musica, ma anche al cibo e a momenti più conviviali (“come sarebbe stata questa serata se ci fosse stato qualcosa da sgranocchiare e un bicchiere? Il centro sarà un luogo dove passare anche le serate immersi all’arte”).
“Mi interesso di molte cose: cinema, teatro, musica, fotografia, leggo” “e concretamente?”: la mostra inaugurale “occuperà l’intera superficie del Centro Pecci – ha raccontato Cavallucci al Tirreno nelle settimane passate – e sarà accompagnato da una serie di eventi paralleli, come spettacoli teatrali e di danza, concerti, proiezioni, incontri e discussioni”. Il nuovo Pecci è costato quasi 15 milioni, fra Comune e Regione, quasi 3.000 mq di spazi espositivi totali, conta su 2 milioni di euro di bilancio previsionale e su 21 dipendenti a tempo indeterminato. Ma il nome di un artista che esporrà dal 16 dicembre? Non è dato di saperlo, qualcosa sui giornali è trapelato, ma nell’ultimo evento pubblico del Pecci a cinque mesi dall’inaugurazione non si è fatto neanche un nome di un artista.
Nessuno ha paura di una data (o forse inizia ad averne?), però forse a pochi giorni dalla riapertura del centro d’arte contemporanea più grande del centro Italia ci si sarebbe aspettati qualcosa di più di un “mi muovo, faccio cose, vedo gente”.