Per la rassegna Metastasio Ragazzi torna, dopo l’anteprima della scorsa stagione, la Butterfly di Kinkaleri. L’appuntamento è per sabato 13 febbraio al Teatro Fabbricone alle ore 17.
Non si tratta soltanto di uno spettacolo per bambini: non è una semplice riduzione del capolavoro pucciniano ma una sua rigorosa riscrittura, che intende rinnovare un linguaggio consolidato ma a volte percepito come inaccessibile, restituendogli le originarie capacità comunicative ed emozionali. Riscoprendole vive e potenti. Ecco l’intervista che abbiamo realizzato l’anno scorso alla compagnia residente a Prato.
«Questa è una storia ambientata nel lontano Oriente, in Giappone, più di cento anni fa»: Marco Mazzoni, interprete insieme a Yanmei Yang del lavoro, introduce il nuovo denso attraversamento di Kinkaleri del modo poetico di Giacomo Puccini (il primo episodio fu la messa in scena di Nessun Dorma, dalla Turandot, nel 2010). Questa opera in tre atti, liberamente tratta dalla Madame Butterfly del celebre compositore toscano, è una commovente storia d’amore, triste e dolcissima, che intende far riscoprire a un pubblico di giovanissimi l’opera come forma attuale di rappresentazione, indagata attraverso il lavoro di ricerca sui linguaggi contemporanei.
Butterfly di Kinkaleri è opera dai sentimenti contrastanti (amore ed egoismo, dolcezza e asprezza, furore e remissione) e di culture che si fronteggiano (tradizione e modernità, Oriente e Occidente). Il Giappone, terra allora lontana di incanti e di misteri, diventa la cornice ideale dove collocare l’appassionante vicenda dei due protagonisti: la splendida Butterfly, giovane donna che Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti e yankee americano che tutto può avere, sposa legandola a sé per tutta la vita. La ragazza cede all’amore in modo completo e totale, come totale è quest’opera, sviluppata attraverso le ambientazioni musicali e l’uso di colori e segni.
Lo spettacolo procede infatti per accumulazione di codici espressivi, epoche ed ambiti culturali proteiformi: la grande tradizione operistica italiana e i linguaggi visivi contemporanei, la prassi del recitar cantando e l’inserimento di brani di musica moderna, il coinvolgimento dei bambini nel ruolo di personaggi allo scopo di far procedere la fabula e la necessità di non oscurare il gesto tragico della morte, ottenuta dalla protagonista mediante harakiri. Questa scelta risuona nell’essenzialità dell’allestimento in un continuo ribaltamento di piani di visione, caratterizzati da personaggi ed effetti creati a vista: un sofisticato gioco di costruzione e videoproiezioni della scena, una organica successione di ambientazioni pop e coinvolgenti affondi lirici per arrivare, in cinquanta minuti abbondanti, al compimento del dramma e alla maestosa catarsi finale.