Dal 29 febbraio la Mortadella di Prato potrà fregiarsi del marchio IGP (indicazione geografica protetta). Il riconoscimento è stato infatti pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, arrivato dopo la richiesta avviata dall’associazione a tutela della Mortadella di Prato in collaborazione con la Camera di Commercio di Prato e una procedura lunga e meticolosa, che ha richiesto una attenta ricostruzione storica e un lavoro di indagine per l’individuazione della ricetta di questo salume. E il 9 marzo arriva pure la Festa della Mortadella di Prato nell’auditorium della Camera di Commercio, dove saranno presenti non solo i produttori ma anche alcuni chef, chiamati a interpretare l’insaccato pratese in decine di modi diversi (il programma è in via di definizione).
“Un importante risultato, che arriva dopo un lungo percorso: la domanda risale al 2008 – commenta Luca Giusti, presidente della Camera di Commercio di Prato – La mortadella di Prato è un salume particolare, che racconta il nostro territorio e anche un po’ della nostra storia. Da quando è iniziato questo lavoro di valorizzazione, la mortadella di Prato è tornata sulle tavole non solo dei pratesi, ma è stata anche protagonista di iniziative di interesse nazionale, essendo uno dei presidi Slow Food. E la crescita della produzione negli ultimi 5 anni, con picchi anche del 20% annuo nella produzione, è un segnale evidente di questo interesse”.
La storia della mortadella di Prato
“I primi documenti certi risalgono al 1733, in occasione della beatificazione di suor Caterina de’ Ricci – si legge nella nota inviata dalla Camera di Commercio – quando le monache dei monasteri domenicani di Prato allestirono per gli ospiti un pranzo dove essa figura come specialità locale. Ritroviamo la “Mortadella di Prato” menzionata scherzosamente nel 1854 nel carteggio Guasti-Pierallini (“le mortadelle di Prato son cose ghiotte anche ai fiorentini mangia fagioli), in relazioni redatte in lingua italiana, inglese e francese per le Esposizioni internazionali di Londra e Parigi e in una nota di un commissario francese di polizia, che ci ragguaglia sull’esportazione del prodotto in Francia (1867) a conferma della sua conquistata reputazione”.
“Anche durante il Novecento sono numerosi i riferimenti documentati alla “Mortadella di Prato” – si legge ancora – la sua peculiarità ha fatto sì che il prodotto fosse presente in molti libri di cucina e guide gastronomiche locali, nazionali e internazionali, fin dalla prima edizione della “Guida gastronomica d’Italia” del Touring Club Italiano (1931). La sua fama è anche legata alla predilezione dimostrata da grandi chef e personaggi della cultura e della gastronomia internazionali, come il famoso scrittore gastronomo Manuel Vasquez Montalban, che nel 2000 ebbe modo di apprezzarla al Salone del Gusto di Torino. E’ stata inoltre valorizzata come espressione genuina della tradizione gastronomica di Prato da associazioni come l’Accademia della cucina italiana (1987) e Slow Food, che nel 2000 ha istituito un presidio del prodotto. Fin dal ‘700 si usa gustare localmente la “Mortadella di Prato” con i fichi oppure nella cucina tradizionale come ingrediente di molti piatti tipici, tra i quali i “sedani alla pratese”.
La ricetta
La “Mortadella di Prato” è un salume cotto speziato di stampo medievale, dal gusto unico, frutto del contrasto fra il sapore caldo e pungente delle spezie, dell’aglio e del sale marino, e quello dolce e delicato dell’alchermes. Il “saper fare” locale, risale ai “beccai” pratesi (gli antichi macellai), un’attività che, per motivi di igiene, richiedeva, come il mestiere di tintore, abbondanza di acqua corrente e che quindi si è potuta sviluppare grazie alla presenza delle “gore”.
La scelta dei tagli di carne utilizzati nella lavorazione tradizionale, l’assenza di glutammato e la particolarità degli ingredienti, rendono questo salume unico nel panorama gastronomico italiano. In particolare ciò che la lega indissolubilmente al territorio pratese è la presenza dell’alchermes, un liquore di colore rosso vivo ottenuto un tempo esclusivamente dalla cocciniglia, un insetto parassita essiccato e polverizzato, che per secoli è stato adoperato nella tintura dei tessuti.