Pieno di ravioli cinesi mi accingo a completare il giro del mondo andando al concerto di Calcutta, che poi è di Latina. Comunque, quanto è piccolo il pianeta nell’iperconnessa era del villaggio globale, penso; peccato però che pur trovandomi alla stazione io non possa servirmi agilmente di un treno per raggiungere il Tender, che pure è a due passi dal terminal di Santa Maria Novella. Come farei a tornare, visto che di notte tutto si ferma? Certo, alle tre antelucane si possono acquistare delle Girelle Motta in offerta al Carrefour, utilissimo, ma preferirei potermi bere l’impossibile ad un concerto senza dovermi preoccupare della macchina, piuttosto. Niente, nel rispetto del mio patto con le polveri sottili, guido fino a Firenze e dopo mille bestemmie parcheggio in divieto di sosta. Grazie Trenitalia, sono già in una canzone di Calcutta prima ancora di essere arrivato al Tender.
Caviglie e ombelichi congelati, vittime di mode fra risvoltini e top anni ’90, formano una notevole fila fuori dal locale; alcune persone vengono perfino allontanate perché il concerto è sold out. Ma stiamo davvero parlando di Calcutta? Basta intitolare un album ‘Mainstream’ per diventarlo di botto? Il suo ultimo disco è in effetti un gran successo, che catapulta il cantautore laziale fuori dall’underground, nel quale si era costruito un personaggio semiserio, legato al buon disagio delle situazioni quotidiane della provincia, improntato ad un’estetica lo-fi molto ironica, da ricercare anche in collaborazioni con Pop X, ad esempio.
Guardando a questa figura un po’ sbattuta, il pubblico sorride come ad un cabaret, mentre Edoardo D’Erme, vero nome di Calcutta, sale sul palco insieme alla band, attaccando con ‘Limonata’. C’è praticamente un muro di gente di fronte al palco, pronto ad esplodere durante il secondo pezzo in scaletta: ‘Frosinone’. Partono sing along bestiali, fino all’apice del refrain “E il Frosinone in Serie A!”, che mi fa sentire come ad un concerto di Max Pezzali, dove nostalgia e riferimenti calcistici mandano in sollucchero il pubblico con una facilità estrema e terribile. Il buon Calcutta, in tutto il suo essere easy, si mostra per il momento meno amichevole di quanto mi potessi aspettare, forse perché, come continua a ripetere al termine di ogni pezzo, ha problemi con le spie. Rimedia prontamente dedicando dieci secondi di raccoglimento a quelli rimasti fuori dal locale e concedendo del caloroso contatto fisico con la folla buttandosi dal palco, sul quale poi non riesce a risalire.
L’atmosfera è calda, l’energia si avverte forte, Calcutta concede il bis di ‘Del Verde’ dopo averla appena terminata, tanto è ormai stretto il dialogo fra lui e la gente, che gli urla di tutto sventolando sciarpe col suo nome. Sono preso ad ascoltare un tentativo di imbrocco ai danni di una tipa da parte di Andrea Della Valle, pare, qui di fianco a me, ma i cori sguaiati sul ritornello di ‘Gaetano’, “Tua madre lo diceva / Non andare su Youporn” mi riportano prepotentemente nella bolgia del concerto. Un amico che incontro mi dice riguardo a Calcutta e alla situazione: “Non è lui, poverino, è il pubblico che mi spaventa”, e in effetti non ha tutti i torti, visto il casino, le ragazze sedute in spalla e le urla in sala. Il concerto prosegue coi soliti problemi alle spie, con gli occhi di Calcutta sempre più fessurati, col bassista scomparso in platea e con altri bis, fino al duetto con Gioacchino Turù.
Un concerto di un’ora abbondante, che sarà replicato il 3 marzo, sempre al Tender, vista la grande richiesta. Un successo meritato per un live travolgente, di un artista che in maniera modernissima sa conciliare il drammatico e l’ironico nei suoi testi, semplici da ricordare e di sicuro impatto, posti con uno stile catchy che rimanda al vintage del cantautorato italiano. Interessante è il senso di straniamento che si crea fra i toni commoventi della musica di Calcutta e l’atteggiamento euforico/adrenalinico del pubblico, in una sorta di fraintendimento magico e post-moderno, dove la spensieratezza deriva proprio dal canto delle piccole tragedie di ogni giorno e la depressione da notazioni amaramente comiche. L’essenza genuina, il basso profilo e melodie che acchiappano fanno il resto. Adesso meglio andare che domattina, come mi dice il collega di Calcutta, Gioacchino Turù, c’è Pitti Bimbo, cioè Pitti MILF.