“Parlare con lui emoziona perché è uno scrittore che riesce a venir fuori dai libri che scrive. Tutto di lui è nei suoi libri. Libri tragici, drammatici che pure danno speranza. Ha il dono di possedere la scintilla divina che rende umani. Caratteristica rara”. Con queste parole il giornalista Włodek Goldkorn ha introdotto ieri pomeriggio David Grossman, uno degli scrittori più alti e amati dei nostri tempi, invitato dal Museo Pecci all’interno della rassegna Uomini in Guerra. In un Politeama gremito, la platea è rimasta ipnotizzata per più di un’ora seguendo i ragionamenti profondi ma infinitamente semplici di questo artista che, seppur narrando la cruda realtà, cura l’anima dando speranza. È uno scrittore dotato di empatia, di una profondità di vedute, di un’apertura tale che riesce a entrare in ogni singolo personaggio di cui narra. Personaggi che quindi divengono veri e universali. “Ogni suo lavor parla a noi di noi – prosegue Goldkorn – e ci fa intuire qual è quel qualcosa da fare affinché un altro mondo esista. I suoi libri non parlano di politica, sono politica, nel più alto senso del termine. Lui è l’esempio di come la cultura diventi politica quando dà alternative alle cose. E poi il suo modo di narrare è splendido, perché non si limita a usarla la parola, la cura. Il suo è un procedere da poeta. Nel suo sguardo ha lo stupore del bambino. Ogni persona, situazione, fatto che vede lo guarda con la freschezza e lo stupore della prima volta. Ed è lo stupore il fondamento di ogni arte che rispetti se stessa. Anche un giornalista che non si stupisce di ciò che vede non sarà mai un bravo giornalista. E questo stupore c’è anche nel più recente libro La principessa del sole, una favola per tutti che tratta delle paure dei bambini”.
Ed ecco che sorridendo, Goldkorn formula la prima domanda: “Perché scrivi le favole e perché questa tua ultima, La principessa del sole?”. Con atteggiamento umile e ben disposto, Grossman prende, quindi, la parola e con un inglese chiaro e ricco conduce l’ascolto con carismatica maestria, coinvolgendo anche quella metà della platea (fra cui la sottoscritta) rimasta senza auricolari e quindi senza traduzione.
“Perché le favole? – esordisce Grossman con fare gentile – Perché è il modo ideale per raccontare il magico attraverso normali scene domestiche, quotidiane. Le mie sono storie concrete che d’improvviso diventano magia, proprio come accade in natura. La Principessa del Sole dice questo, narra la magia della normalità. Perché ogni volta che nasce il sole è magia. Ogni volta che il realismo si unisce a momenti magici è una grazia”. Quindi prende il libro e inizia a leggere in ebraico alcune delle pagine più significative, inondando la sala di un suono docile e incomprensibile.
Quindi Goldkorn passa a chiedergli se scrivere un buon libro sia di per sé già una buona azione, o se invece non sia sufficiente per fare cose buone. “La responsabilità maggiore di uno scrittore è scrivere un buon libro – replica lo scritto israeliano – E questo significa ricreare un mondo armonioso com’è l’umanità quando lavora insieme. Un buon libro è come una melodia interna che si sente in un corpo sano. Sono nato e cresciuto in Israele e sono quindi abituato a tirar fuori la luce dal buio in cui da sempre siamo costretti a vivere. E si tratta di una luce fatta di mille sfumature, di mille nuance. Ecco, scrivere è ricordare e ricordarsi che ogni situazione umana consiste proprio in queste mille sfumature. Ogni esistenza è complessità e per vederla, capirla e riprodurla occorre sempre chiamare le cose con il proprio nome. Nessuna nuance va lasciata nel silenzio. Sforzarsi di chiamare con il proprio nome ogni minima sfumatura di ogni relazione umana è la ricetta. Quando ho scritto Falling out of time, che racconta la perdita di un figlio, avevo appena perso il mio. Uri aveva vent’anni. E’ morto in guerra. La guerra contro Hezbollah del 2006. Stava svolgendo il servizio militare che ci costringe a svolgere il mio paese. E io mi sono ritrovato a non aver proprio più nulla da dire. Non avevo parole. Quale parola poteva descrivere la perdita di mio figlio? Poi ho sentito che non trovare le parole significava negare la realtà e scappare dalle responsabilità. Ed è sempre così: chiudersi è scappare dalle situazioni. I cliché, le frasi fatte, ci proteggono dalla realtà, ma ci impediscono di vivere veramente. Ed è questa consapevolezza che mi ha spinto a fare il contrario e a iniziare a raccontare nei dettagli, documentandola, ogni nuance che ha caratterizzato questa tragedia. Perché dare il nome a ogni sfaccettatura della realtà che ci circonda, ci impone di essere qui e ora, di vivere qui e ora, di essere nella nostra vita, di capirla, comunicarla, raccontarla e raccontarcela”.
Quindi un applauso, l’ennesimo, lungo ed emozionato, come emozionato è stato dall’inizio alla fine Goldkorn, catturato da tanto carisma.
“Quando creiamo un personaggio – prosegue rispondendo al suo intervistatore – il volto, il sorriso, la gestualità, cerchiamo di immaginare tutto di lui: come ride, come cammina, come pensa, come reagisce ed è a quel punto che ti infili completamente in quel personaggio, che entri nell’altro. Ecco: se tu permetti che un altro personaggio ti invada – benché immaginario anche se nessun personaggio frutto della nostra fantasia è completamente immaginario – significa che sai capire le opzioni umane, che sei predisposto a comprenderle. E questa è un’opportunità unica per entrare in contatto con la vita da un altro punto di vista.
Quanta gente si difende continuamente dagli altri? Israeliani da palestinesi. Palestinesi da israeliani. Invece io scrivendo ho fatto sì che il mio essere vada sempre verso l’altro. Nel poter essere una donna, un bambino, o chiunque. Voglio espandere la mia esistenza. Ho scelto l’opzione di essere di più. La naturale reazione alla paura è, invece, chiudersi. In Israele si fa così. Ma aprirsi è utile per capire gli altri e il mondo. Dobbiamo essere crudeli solo con chi nega l’unicità e dunque la bellezza di ogni essere umano. Se ci mettiamo in ascolto dell’altro cercando di vestirne i panni, non potremo mai essere crudeli. L’istinto di essere l’altro, di capirlo, di esserne curioso è la salvezza”.
E anche qui l’applauso arriva lungo e sonoro dopo qualche istante di torpore, quel torpore che arriva dall’incanto.
“Eccola qua – precisa l’intervistatore – la differenza fra uno scrittore e un grande scrittore. Ed ecco perché dicevo che i suoi sono libri politici nel senso più alto del termine. Parla, scrive e descrive i rapporti fra le persone. E in questo senso Grossman è politico, come del resto è anche un bambino: in ogni suo libro c’è la meraviglia di un bambino. Ma io ti chiedo: c’è un limite all’empatia?”
“L’indifferenza è il modo più misero di aver paura dei propri pensieri e dell’altro. Perché quando permetto a me stesso di espormi alla sofferenza dell’altro divento incapace di essere indifferente. L’empatia è impossibile solo verso chi uccide e per di più lo fa nel nome di qualcosa o di qualcuno. Ecco, per loro non è possibile provare empatia. Impossibile aprirsi a chi uccide con il movente della diversità. Quando non ci sono argomenti di dialogo è finita e va tracciata una linea rossa ben marcata. È una linea rossa fondamentale che rende totalmente differenti l’Isis dalla lotta palestinese, perché i palestinesi lottano per difendere il proprio Stato. Per questo dobbiamo far presto ed evitare che il conflitto israelo-palestinese diventi una guerra di religione. Ma se Israele non ascolterà, molti palestinesi inizieranno a essere tentati dalla causa dell’Isis e a quel punto sarà davvero il caos. La mia attività politica per la pace è improntata a questo adesso: a evitare di far scadere il conflitto nella questione religiosa. Ma Israele non ci sente e si chiude. E a proposito di empatia, ecco, non sono empatico verso le persone ermetiche”.
Quindi Goldkorn: “La narrazione riesce a mantenerci in vita aprendo menti e cuori, impedendo la chiusura?”
“Assolutamente. L’energia e i sentimenti delle storie cambiano le persone. Le riformulano. Se permettiamo a noi stessi di restare congelati nella storia che ci raccontiamo su noi stessi e sugli altri, restiamo prigionieri della nostre storie. Invece no: abbiamo il diritto e il dovere di raccontare a noi stessi altre storie su noi stessi. Ogni Stato vive di miti nazionali. Ogni paese ha i suoi. Eppure sarebbe così sano dar aria a questi miti, aprendoli agli altri e permettendo la contaminazione. Noi israeliani siamo stati vittime dell’Olocausto – una tragedia immane, la peggiore, perché siamo stati ammazzati per il solo fatto di essere ebrei – ma tutt’oggi stiamo continuando a vivere da vittime trincerati in uno stato militarizzato. Ecco, forse sarebbe l’ora di cominciare a raccontarci un’altra storia. Ed è quello che faccio io. Vivendo nei miei personaggi e lasciando che mi massaggino l’inconscio con le loro caratteristiche, ho capito che solo aprendomi posso creare qualcosa per cambiare. La volgarità è fuga dalla responsabilità. La vera letteratura cambia la nostra visione del mondo perché ci richiama alla nostra responsabilità”.
E per concludere Goldkorn: “Di fronte a questo dilagare della volgarità, delle guerre, della povertà, l’Isis, il pericolo che il conflitto tra Palestina e Israele diventi un conflitto religioso, che speranza hai?”
“Non mi permetto di disperare. Ogni guerra e conflitto creano odio e sospetti. Quando penso al futuro non vedo certo israeliani e palestinesi camminare mano nella mano verso il tramonto, ma sono convinto che questa continua distorsione della paura e della violenza sia malata. È tutto malato, vivere cosi è malato. Se noi, noi di entrambi le parti, saremo abbastanza coraggiosi da capire che è interesse di tutti vivere una vita umana degna, se capiremo che non c’è dignità nell’occupazione e nel parlare la legge delle armi, se capiremo che l’interesse di tutti è il compromesso da creare gradualmente, allora tutto cambierà. Solo il compromesso del buonsenso ci darà la chance di ricominciare dopo anni di odio e guerra. Purtroppo però non sono sicuro che arriverò a vederlo questo compromesso. La voglia di distruzione è cosi grossa! C’è una grande smania di totalizzare lo scontro. Ma io so che solo il dialogo ha la capacità di cambiare la gente. E il libro è dialogo, è il potere del dialogo. Per scrivere e leggere un libro devi confrontarti con l’altra parte della storia e ascoltarla. E solo quando arriverai a leggere la realtà con gli occhi del tuo nemico, vedrai la verità, stracciando le false illusioni”.