Ho sempre subito un fascino fuori dal comune per i fulmini, manifestazioni naturali che sin dai tempi antichi hanno sempre avuto connotazioni divine: veloci, poderosi, capaci di sfidare il buio senza timore; semplicemente magnifici. E come non ricordarli nella cultura più moderna e popolare: le Tre Bufere di “Grosso guaio a Chinatown”, Raiden di “Mortal Kombat” e il fulminato Ceccherini in “Fuochi d’artificio”.
Il collettivo fiorentino Dio Drone non condivide, fortunatamente, niente con il conterraneo Pieraccioni ed arrivati alla quinta edizione del suo festival ci propone “Ansi Lumen”, uno spettacolo in quattro atti dedicato ai fulmini. Mentre la possibilità di trovare parcheggio in quell’incubo urbano chiamato Firenze si fa sempre più distante, una proiezione mistica di Piero Angela mi insegna che esistono per l’appunto quattro tipi di fulmini diversi: negativo ascendente, positivo discendente, negativo ascendente e positivo ascendente. Lo fa per il mio bene, dice, non vuole che mi presenti impreparato dato che i quattro capitoli di Ansi Lumen prendono il nome proprio dalle diverse tipologie di fulmini.
Il gelo che è calato in questi giorni è una perfetta overture per la tempesta che mi sta attendendo, a passo svelto le vado incontro, noncurante minimamente dei pericoli in cui potrei incorrere. Il portone del Cinema Teatro Castello, di Firenze Castello, è di una fattura di altri tempi, anzi tutta la sala della biglietteria lo è, persino l’odore mi ricorda la prima di “Salvate il soldato Ryan”. Mi lascio trasportare senza troppa costrizione in questa nostalgica e piacevole realtà parallela preoccupandomi del fatto che ho soltanto degli euro con me, purtroppo le ultime lire le spesi tutte in birra per festeggiare il cambio di moneta. La sala è già al buio e ho difficoltà per trovare un posto a sedere, siamo quasi al sold-out.
I Dolpo sono già sul palco, e stanno suonando in una semi oscurità, illuminati solamente da alcune lanterne e dalle video proiezioni. Incappucciati come dei cerimonieri ci guidano in questa primo capitolo di “Ansi Lumen”. Le loro sonorità dal drone sconfinano nel doom più cupo per intrecciarsi alla misticità orientale, un episodio oscuro e meditativo, in cui le chitarre condividono lo stesso spazio con le campane tibetane e strumenti dimenticati come la ghirigonda; l’assembramento emiliano sembra quasi voler ricreare un rituale per evocare dei fulmini o Zeus stesso.
A piccoli passi ci conducono verso il cuore della tempesta, fugando ogni traccia di luce, lasciando la platea in mano agli Architeuthis Rex che ci regalano un’esibizione dove propongono un’esecuzione molto intima, noise, ma molto intima; i synth e la voce di Francesca duettano con gli ampi suoni della chitarra di Antonio che mi lasciano in una fase di sospesione. Questi brani minimali fanno da colonna sonora a scene fatte di dense nubi grigie ed una lieve e costante pioggia, ricalcando alla perfezione i preludi prima del caos o in questo caso la discesa stessa di Efesto, dio del Fuoco, a cui è dedicato il terzo e penultimo capitolo dello spettacolo.
Sul palco Nicola Manzan si prepara a scatenare la furia della sua chitarra contro lo platea, che poco dopo si ritroverà intrappolata senza via di fuga come in Inferno di Cristallo. Ancorata alle poltroncine, schiacciata dai decibel. Ho visto Bologna Violenta innumerevoli volte negli anni, nei contesti più diversi, ma da una platea la sensazione è diversa, è come se quel rigore ed ordine, tipiche delle sale del cinema, andassero ad amplificare la sensazione di violenza. I fulmini si stagliano dietro Nicola e Alessandro mentre riecheggia nell’aria, tra campionture e brevi battute, il nome del Cardinale Bertone.
L’epilogo della serata è nelle mani degli OvO, che danno il colpo di grazia gettandoci in alto mare, nel maelström di Poe, nella tempesta più furiosa. Mentre la voce poliedrica di Stefania la fa da padrona in sala, vengono proiettate immagini di immense navi che affrontano senza paura le onde dell’oceano. Resto in balia del caos suggestivo della musica, ipnotizzato dalle onde che mi danno quasi la sensazione di essere sopra una di quelle imbarcazioni, a metà tra l’angoscia e lo stupore. Di altra opinione sono dei ragazzi vicino a me, che assistono allo spettacolo viziandosi con della birra in bicchieri di plastica e Ringo. La tempesta si placa, le onde svaniscono, l’imbarcazione Dio Drone guidato in prima persona da Narèsh Ruotolo ci ha condotto in questo viaggio burrascoso, tra tuoni, onde impetuose e fuoco ci sto riportando verso la riva: è tutto finito. In sala torna la luce accompagnata da un ennesimo e ultimo potente applauso all’unisono.