“Questo spazio è nato nel ’93 da una rimessa agricola. C’era la legnaia, la piccionaia, il magazzino per gli attrezzi. Era una baracca, vera e propria, a rischio demolizione. La curia, a cui apparteneva il terreno, voleva raderla al suolo per rifare la chiesa. Poi cambiò idea, si limitò ad ampliare l’area ecclesiale destinata alle feste e la capanna con qualche metro di terra attorno venne messa in vendita. Anzi diciamo che fu svenduta. E io la presi. A poco. Iniziai col farci un laboratorio teatrale e poi ricavai un piccolo spazio per gli spettacoli”. Maila Ermini, drammaturga e attrice, direttrice artistica del Teatro La Baracca di Casale, racconta e si racconta con dolce determinazione. Il suo fare è pacato e semplice, voce profonda, senza nessuna inflessione dialettale. Si esprime con logica eleganza. Sguardo luminoso, spesso perso nel rievocare.
La Baracca è un luogo accogliente, raccolto, affascina. Sperduto fra le viuzze di Casale, visto da fuori ha un che d’informale, leggero. Basta entrare, però, e si respira un che di sacro nell’atmosfera seriosa, ma senza eccessi. Eppure, quel palco in legno, le sedute in tono, le pareti scure trasudano, goccia dopo goccia, tutta la cultura vista e trattenuta.
“Ho 54 anni, compiuti il 20 ottobre – riprende Maila, seduta alla scrivania sistemata su un lato del piccolo ingresso – e da che mi ricordi amo il teatro. Il mio percorso drammaturgico però lo perfezionai durante l’università, a Firenze, guidata dal professor Macrì. Non paga, mi lasciai coinvolgere in un corso di teatro che mi portò ad affrontare letture teatrali sin da subito. Il processo è stato irreversibile”. Di lì a poco, a 24 anni, l’artista pratese è a Roma, la città che più di ogni altra prometteva tutto a chi sognava le glorie del palcoscenico.
In realtà Roma le dà l’Amore, che poi finirà dopo qualche anno, e un premio, rinomato e copioso come drammaturgo. Maila Ermini, nel 1988 vince il Fondi La Pastora con “Matilda”, la storia di una professoressa di matematica in pensione, che decide di prostituirsi, anzi di continuare a prostituirsi dato che considera il suo percorso all’interno della scuola al pari di un atto di prostituzione. E Maila di come funzionino le scuole dall’altra parte della cattedra lo sa e bene. Sì perché prima di arrivare a ricevere questo rinomato premio, è costretta a una doppia vita degna di un romanzo: professoressa di lingue a Ostia e Tivoli di giorno, e teatrante la sera.
“Quel premio mi ha cambiato la vita. Mi ha costretto a scegliere, a uscire allo scoperto, a guardarmi allo specchio. E mi ha fatto capire cosa fosse in realtà quel patinato mondo dello spettacolo dal quale sono fuggita subito dopo. Iniziarono a chiamarmi personaggi famosi che avevo avuto modo di conoscere grazie al Premio. Si dicevano interessati a mettere in scena la mia Matilda e io ero piena di speranze. Fra questi c’era la moglie di De Sica, Maria Mercader, poi Antonio Salinas del teatro Belli. Ma i miei sogni si frantumarono quando capii che con Matilda volevano anche tutta la mia vincita. Una sorta di mazzetta. Rifiutai. Di cosa avrei vissuto altrimenti? Avevo lasciato prima il lavoro da professoressa, poi il posto di interprete al Ministero degli Interni, due lavori sicuri per il teatro. Dissi no”.
Inizia così uno dei suoi periodi più altalenanti, ma anche ricchi di stimoli professionali: Maila divorzia dal marito romano, abbandona quella città che “non mi ha mai dato nulla, in fondo”, e parte. Spagna, Inghilterra, Francia, teatro di strada, mimo, vita da nomade, poi rientra in Italia, a casa, dove il padre la convince a fermarsi, a mettere in piedi qualcosa di realmente suo.
“E’ il 1993. Ho 32 anni e tanta voglia di fermarmi e affermarmi. Era finalmente giunto il momento di fondare una mia compagnia, di fare il grande salto. Mi padre aveva ragione e unendo i soldi degli sborsi a quel che restava della vincita del premio acquistai la baracca di Casale che diventò la Baracca di Maila Ermini. Era isolata e sgangherata, assieme a mio padre lo trasformammo usando i materiali di risulta e pian piano sbocciò. I primi due anni mi limitai a laboratori teatrali, corsi di teatro e a prepararci spettacoli che mettevo in scena fuori. Poi decisi di iniziare a fare qua i miei spettacolini”. Il suo tono resta calmo, ma gli occhi si illuminano di questo ricordo. Fierezza e soddisfazione insieme. “E’ stato sempre tutto in salita, precisiamo, ma lo rifarei senza batter ciglio. Inizialmente era caldissimo d’estate, e freddo, molto freddo, in inverno. Pian piano però tutto è migliorato, mi sono messa a norma con l’impianto elettrico, con le uscite di sicurezza, ho azzerato le barriere architettoniche ed è emerso un teatro a tutti gli effetti che mai ha però perduto la propria identità. Baracca era e Baracca resta”.
Le stagioni teatrali iniziano nel 99-2000. Da allora tanto è cambiato ma non il ritmo del pubblico. “Alti e bassi – dice pacata -. Dipende dagli spettacoli. E da tante altre cose. Ma ormai ho smesso di pormi il problema di quante persone verranno. Ho scelto. Io e il mio compagno Gianfelice D’Accolti, attore e drammaturgo come me, gli spettacoli li facciamo qui per saggiarli e poi portarli fuori. Siamo sereni e convinti della strada intrapresa”.
Da due anni La Baracca ha anche smesso di ospitare compagnie da fuori. Eccetto chi vuol venire dietro a un piccolo compenso. “Non posso più permettermi i sostanziosi cachet che offrivo al tempo di Sipario Aperto, il circuito da cui ho tratto sostentamento per anni. Dopo che i politici lo hanno distrutto non ho avuto alternative. Da quando è stato deciso di classificare i teatri in base alla residenza teatrale regionale, i finanziamenti sono riservati soltanto ai teatri-azienda dagli alti ricavi. E certo non è il caso della Baracca che non è un teatro supermercato come tanti”, insiste Ermini.
La Baracca ha posti molto limitati e anche quando è sold out i ricavi restano sotto le cifre stabilite da questa nuova legge. “Poi ci sono le valutazioni politiche che incidono molto – dice con sorriso forzato -. Non è un teatro commerciale il nostro. Il nostro è un teatro di impegno civile. A volte è anche comico, ma resta impegnato. E a tanti rimane scomodo. Non piace”.
Si ferma un attimo. La pausa è silenziosa. Poi riprende: “I rapporti con questa Amministrazione però sono buoni. L’assessore Simone Mangani è venuto più volte qua da noi e mostra di apprezzarci. Ha anche comprato tre repliche de Lo Spettacolo della Città, una performance itinerante e irriverente che abbiamo fatto in estate raccogliendo grande successo – incalza con orgoglio -. Abbiamo già in programma di farlo anche a Pistoia e in Val Bisenzio”.
Poi Maila si lascia andare: “Sono però tante, troppe le persone dell’area pratese a non aver mai messo piede qui. Tanti assessori alla Cultura dei Comuni limitrofi fingono di non conoscerci. Seppur criticandoci. Mi son stati riferiti commenti di disprezzo del mio teatro usciti dalla bocca di personaggi che non si sono mai nemmeno avvicinati a Casale. Ecco, questo non lo accetto. E che dire degli abitanti della stessa Casale? I nuovi vengono, dei vecchi neppure l’ombra. E Prato non viene perché è periferico e non di moda”.
Ma lei va avanti, incorruttibile. “Il teatro civile non è ben visto e non paga. Ma è quello che amo e che continuerò a fare”. E precisa di aver assistito almeno una volta agli spettacoli di ogni singolo teatrante della zona: “L’ho fatto in maniera silenziosa, ma non me ne sono persa uno. Non posso invece dire altrettanto di loro nei miei confronti. Se mi rammenti un artista di Prato e dintorni, io l’ho visto. Loro invece? Magelli, ecco, lui sì. Venne appena nominato direttore del Metastasio. In scena c’era Anito Garibalda e si divertì molto. Poi purtroppo litigammo quando io gli dissi che tutti i soldi se li prendeva il Metastasio”.
Poi ammette: “L’unico teatro in cui non ho mai messo piede è quello del Bonechi, ma solo perché ultimamente son costretta a lavorare tanto”. Quindi tira fuori il quaderno del gradimento, un librone sul quale dopo lo spettacolo chi ha voglia annota critiche ed emozioni, anche negative. “Leggo e rileggo spesso questo quaderno per sapere cosa pensa il mio pubblico. La relazione con loro per me è fondamentale. Chiudiamo spesso gli spettacoli col dibattito, aperto e costruttivo. Certo è molto dura quando il pubblico non se ne va e tu sei stanca e vorresti solo uscire di scena. Ma quando il pubblico resta è una soddisfazione unica e un gran segno che lo spettacolo ha funzionato”.