Le zone industriali di notte sono bellissime. Capannoni bui, telai silenziosi, camion come statue imponenti e la sensazione costante che stia per succedere qualcosa. Un contesto oscuramente affascinante, una scena di Strange Days in cui si accentrano gli avventori dell’Exenzia, cuore pulsante dell’underground toscano, lontano dall’anonimato degli indie club. Per mimetizzarmi in quest’ambiente indosso i miei tosti vestiti da black bloc (solo dopo aver tolto i peli del gatto con la spazzola adesiva, che sul nero si vedono un casino) ed eccomi qua in attesa del live dei The Soft Moon.
Quest’anno è stato pubblicato il terzo album della band californiana, ‘Deeper’, un capolavoro noise-rock che ancora spicca nella mia personale top ten del 2015, fra il migliaio di nuovi album che mediamente ascolto nell’arco dei dodici mesi. L’attenzione che questo locale riserva agli eventi di qualità e la competenza in ambito musicale del proprio pubblico affezionato, hanno posto le basi per questo importante concerto, che davvero rende la città protagonista nel contesto delle avanguardie musicali a livello internazionale.
Il locale si va riempiendo durante la performance di Hayden Payne a.k.a. Phase Fatale, un americano di casa in Germania, che con la sua techno industrial ipnotizza e fa ondeggiare. Fumi e luci soffuse, la cassa che batte costante, i suoni sintetici che rimbalzano in testa come l’antifurto più piacevole che si possa ascoltare: sembra davvero di essere a Berlino ai tempi dei giubbotti di pelle e delle droghe pesanti, finché dell’aria pregna di salame mal digerito mi risveglia nella terra del Pacciani. Beviamoci su, per tornare subito in sintonia col mood dark che questo producer propone, vestito del suo chiodo mentre compie gesti consapevoli sulla tavola imbandita di circuiti che ha davanti.
Parti ambient e noise si alternano a ritmiche serrate e pesanti che stordiscono, peccato solo per i volumi non così elevati, ma dopotutto questo è solo un antipasto. Adesso ci sono proprio tutti, facce conosciute e non, che fatta eccezione per il tipo con del pizzo rosso sulla faccia, costituiscono un fronte monocromatico nero. Sono tutte persone venute qui per i The Soft Moon, non solo per lo smart talking ubriaco di tarda notte, e questo fa sicuramente piacere. C’è tanta gente, magari nella folla davanti al palco si trova pure l’ormai disoccupato Ignazio Marino avvolto in una tuta di latex, chissà, ma non lo voglio sapere, infatti in perfetto orario sta per iniziare il live.
Sul palco arriva l’unica vera anima della band, Luis Vasquez, insieme ai due live member. Parola d’ordine normcore, assisto infatti allo strano caso per cui l’abbigliamento del pubblico è più genere-specifico rispetto a quello dei musicisti, assolutamente noncuranti di qualunque dresscode. Un’attitudine punk che mi convince fin da subito, dalla canzone di apertura ‘Black’, che introduce pezzi dei primi album come ‘Dead Love’ e ‘Machines’. I The Soft Moon vagano fra le tracce vecchie e nuove, senza limitarsi a proporre i brani di ‘Deeper’, come pure variano nell’uso degli strumenti: Vasquez suona la chitarra o il basso a seconda del pezzo, e lo stesso fa l’altro chitarrista. Entrambi curano pure la parte elettronica, solo il batterista si concentra a tirare mazzate, che così violente non mi sarei aspettato, sul suo unico strumento. L’hype si raggiunge quando uno dopo l’altro arrivano i singoli ‘Far’ e ‘Wrong’, che coinvolgono al massimo un pubblico già presissimo. Il sound è spettacolare, e Vasquez riesce a trovare il tempo di suonare anche delle percussioni, compreso un bidone di Brent; i The Soft Moon sono in tre ma fanno per nove, con buona pace degli Slipknot, perché l’intensità delle atmosfere darkwave riesce ad essere pari all’efficacia dell’approccio post-punk della band. Mi aspettavo un gran bel concerto, ma adesso stiamo andando oltre, perché l’energia e la qualità sono alle stelle.
C’è tutto in questo live: elettronica d’avanguardia mista a rudimentali percussioni, carica punk e gusto dark, il caos del noise e la precisione di chi sa dannatamente fare musica, oltre ad un pubblico partecipe e competente. Si succedono le varie ‘Try’, ‘Repetition’, ‘Insides’ e ‘Being’, con Vasquez che si rivolge alla platea con poche parole, ma in perfetto italiano, tanto che qualcuno mi chiede se è di Lastra A Signa. Il concerto si conclude con ‘Die Life’ ed una splendida versione di ‘Want’, lasciandomi con quell’espressione ebete di chi ha assistito ad uno dei migliori concerti dell’anno, sì, perché dal vivo i The Soft Moon sono addirittura meglio che su disco.
Questa band è importante perché suona esattamente come nel ’95 mi immaginavo sarebbe stata la musica a distanza di vent’anni: senza essere estremi in qualche direzione, i The Soft Moon sono eclettici ma rimangono nell’ambito di genere, sono complessi ma giungono immediati, potenti e ricercati, con uno stile personale assai spiccato. Questa band è destinata a diventare di grandissimo livello, come anche i locali che decidono di investire su questi outsider di lusso che già dominano le nicchie, le quali a conti fatti sono per fortuna più che numerose, con o senza Ignazio Marino in latex.