Fino al 10 gennaio 2016, sarà possibile intraprendere un viaggio al di là dello spazio e del tempo in quel di Prato. Dove? In piazza del Comune e più precisamente al Museo di Palazzo Pretorio, sede espositiva di “Synchronicity”, complessa e significativa mostra a cura di Stefano Pezzato.
Una selezione di 36 opere contemporanee, da Duchamp a Matthew Barney (passando per Warhol), innestate nelle stanze del palazzo e quindi poste accanto ai lavori di Lippi, Donatello e Lorenzo Bartolini, solo per citarne alcuni.
Sette secoli di produzione artistica qua intrecciati dalla maestria curatoriale di Stefano Pezzato, il quale non ci propone una semplice mostra, bensì un viaggio alla scoperta dell’arte e quindi dell’umanità stessa: attraversare le stanze del Pretorio è un’epifania continua, un susseguirsi di scoperte e “coincidenze significative”.
Il titolo dell’esposizione, infatti, non rimanda tanto al concetto di sincronia temporale, quanto piuttosto a quello più sfumato e attraente di “sincronicità”, intesa come convergenza temporanea d’intenti senza però “spiegazioni causali da offrire”.
Ma cosa significa questo esattamente?
Parole in apparenza complesse per definire quella piacevole sensazione legata allo scoprire come il “Florentine Neon #1” di Keith Sonnier (posto al piano terreno) rimandi innegabilmente alle finestre trilobate della facciata del palazzo oppure come il quasi erotico “Concetto Spaziale” di Lucio Fontana (primo piano) si ponga in contrasto (o forse no?) con le caste e pure Madonne dei Lippi e dell’Officina Pratese.
Ed ancora: le “gioconde” di Duchamp e di Warhol (secondo piano), collocate in una sala colma di opere cinque e secentesche e volte a sovvertire proprio quel concetto di arte figurativa portato avanti dai capolavori del XVI e XVII secolo.
Poi, l’ultimo piano: capolavoro di accostamenti sincronici che vede protagonista, nella sala n.20, Lorenzo Bartolini e le sue candide sculture pronte a dialogare con i macabri e irriverenti ritratti di Matthew Barney e del suo “Cremaster”: le opere si guardano, si osservano, si sfidano: chi vincerà?
Infine, sempre nella sala n.20, la conclusione ideale di questo viaggio: il “Portrait of Giuliano Gori” di Andy Warhol e un’immagine dello stesso artista americano fotografato da Maria Mulas.
Un visibile intreccio di coincidenze locali e globali, collocato nella zona dei gessi di Jacques Lipchitz, la cui donazione di opere è stata favorita proprio da quel Giuliano Gori (noto imprenditore e collezionista pratese) trasformato nel 1974 in un simbolo pop da Andy Warhol.
Non è allora un caso se la fotografia che ritrae il genio della Factory, immortalato dalla Mulas nel 1987, sia da intendersi come il suggello finale: un raffinato gioco di specchi (la Mulas ha ritratto Warhol mentre egli la stava a sua volta fotografando) nei quali il visitatore si riflette e riflette, al termine del viaggio, su quanto siano importanti l’arte e le coincidenze per l’essere umano.
Perché Synchronicity è in fondo proprio questo: un sentito omaggio all’arte intesa come attività fondante e costituiva dell’essere umano, al di là delle scansioni temporali e accademiche, in nome di una genuina voglia di conoscenza e meraviglia, viaggiando con la mente, lasciandoci affascinare dalla complessità dell’Uomo.
Foto e testo di Gaia Vettori