L’associazione Il razzismo è una brutta storia porta in giro ormai da diverso tempo un laboratorio dedicato ai ragazzi. Potere alle parole è un laboratorio educativo e musicale di destrutturazione degli stereotipi e dei pregiudizi alla base delle discriminazioni per origine, orientamento sessuale, identità di genere, convinzioni personali e disabilità, destinati agli studenti di istituti scolastici superiori di secondo grado.

Il direttore artistico del progetto è il rapper Amir Issaa che, insieme a Jack The Smoker, lavorerà coi ragazzi per la stesura di un testo che parli di discriminazione, omofobia, razzismo. Il progetto, facente parte di Settembre, Prato è spettacolo, prevede la partecipazione massima di 20 ragazzi e avrà luogo l’11 e il 12 settembre (iscrizione gratuita scrivendo a [email protected]), con due incontri da quattro ore l’uno.

Jack, è facile parlare di temi come razzismo e omofobia con i ragazzi? Come reagiscono?

Intanto c’è da dire che chi viene al laboratorio ha già una discreta apertura mentale verso questi temi e contro i pregiudizi: molte persone che non lavorano con gli adolescenti e non hanno contatti con loro non sanno che in realtà sono libri aperti, che non hanno bisogno di essere influenzati ma di essere indirizzati verso un modello di pensiero libero da pregiudizi. I ragazzi cercano input e guide, non capi, qualcuno che li aiuti a pensare con la propria testa, e questo non possono trovarlo nella tv dei talent o nell’informazione del telegiornale, che spesso tende a creare impianti mentali spostati da questa o quella parte.

La cosiddetta “emergenza immigrazione” rischia di far salire alla luce un nuovo rigurgito di razzismo?

Purtroppo si: le persone sono più portate a cercare colpevoli e puntare il dito in tempi di crisi, e i migranti sono il bersaglio perfetto: non hanno voce per difendersi e sono facili da colpire.

Il rap può aiutare i ragazzi, dove ci sono situazioni di disagio?

Altrochè! Il rap è catartico, è popolare e tutti possono farlo: non va insegnato, non ha bisogno di scuole di canto, un ragazzo di un ceto basso ha la stessa possibilità di esprimersi di qualcuno che magari è messo meglio, parlano la stessa lingua, e anche i ragazzi che vengono dai quartieri più popolari possono usare il loro linguaggio: non è come il pop, ricercato e indirizzato su temi che i ragazzi sentono spesso lontani. I ragazzi si avvicinano facilmente perché il rap parla della loro realtà.

Adesso il rap ha avuto accesso anche nei talent, addirittura un rapper è in giuria

Per quanto i talent possano essere più o meno positivi, c’è da dire che Fedez ha dato legittimazione al genere, cosa che poi si è trasformata in una legittimazione a piramide: io stesso ho beneficiato di questo boom. Prima ci additavano come quelli che si mettevano i pantaloni bassi, i “culi cacati”, ora il rap è uno stile riconosciuto.

Com’è la scena rap, in Italia?

Adesso ci sono aspetti molto positivi: collaboriamo e ci diamo una mano a vicenda, mentre prima a volte ci pestavamo i piedi. Forse si è un po’ perso lo spirito originale, ma ora siamo più uniti e lavoriamo insieme. Ci sono sempre più ragazzi che si avvicinano a questo stile, e questo è molto positivo.

Come funziona il laboratorio che terrete a prato?

Lavoreremo a livello di testi e tecniche, insegneremo ai ragazzi i trucchi del mestiere, i tricks, come l’approccio alla registrazione di un pezzo. Fra scrivere e registrare c’è una bella differenza, se metti troppe parole in una canzone diventa difficile da registrare. Esploreremo gli aspetti tecnici ed emotivi della registrazione. Siamo felici di poterci mettere in gioco ed avvicinarci agli adolescenti, è una cosa che non tutti hanno la possibilità di fare.