Illuminare un museo non è uno scherzo: le luci devono illuminare opere d’arte, senza rovinarle col passare del tempo, senza alterarle. Non devono dall’altra parte disturbare il visitatore che le osserva e non devono avere un impatto per quanto riguarda il consumo troppo elevato.
Come vengono concepite? Da quale idea si parte? Prendiamo in considerazione il nuovo lavoro del Museo Pecci, che diventerà il centro per l’arte contemporanea più ampio del centro Italia.
Nel documentario realizzato dall’azienda Světlovody, viene spiegato tutto questo. L’idea dell’architetto Maurice Nio – che ha ideato i lavori di ampliamento per il nuovo Pecci – era quella di illuminare l’intero complesso espositivo sfruttando al massimo la luce naturale.
Se la parte del piano terra – quasi per intero realizzata in vetro – poteva sopperire da sola a questa esigenza, il primo piano, quello che sarà adibito a spazio espositivo, ha una morfologia architettonica complessa che varia in altezza e in larghezza.
Attraverso la collocazione dei solatube si è riusciti quindi a mixare il naturale e artificiale, oltre a controllare le frequenze dell’illuminamento, evitando l’ingresso di raggi Uva e ultravioletti.