La provincia d’Arezzo non è solo “cittini”, la parlata a sdrucciolo o il b-side di Siena, ma anche gioielli come Cortona e l’omonimo festival On The Move 2015. Per chi non lo sapesse, si parla del “miglior festival di fotografia d’Europa se non del mondo”, parola di Donald Winslow, reporter ed editor di News Photographer Magazine.
Quest’anno si svolge la quinta edizione di questa rassegna in costante crescita, sia per il numero dei visitatori, sia per il prestigio delle mostre. Non essendoci colpevolmente mai stato, e pur non essendo un addetto ai lavori, voglio scoprire questa eccellenza o se il buon Winslow fosse semplicemente ubriaco, perché a Cortona si mangia e si beve alla grandissima.
Ciò che finora mi aveva sempre trattenuto era un timore che tutt’oggi mi accompagna, cioè l’inevitabile e massiva presenza di fotografi, pseudofotografi e soprattutto della moltitudine che su Facebook incorpora nel proprio nome la fantomatica particella “ph”, col rischio di ritrovarsi in un detergente intimo clinicamente testato, sperando oltretutto che non sia acido. Il fotografo è un rispettabilissimo artigiano o intellettuale, ma sappiamo tutti che l’accoppiata social network e avvento digitale ha portato troppi a credere di essere artisti al grido di “con Photoshop lo so fare anch’io” o a vedere nella fotografia un mezzo per sfoggiare il proprio presunto narciso creativo, da ricercare nel vocabolario alle voci hipster e yuccie.
Mettendo da parte il pensiero di terrificanti stravaganze e forzature, mi concentro sul fatto che dove c’è una mostra c’è un buffet, sempre più affollato delle sale espositive, tra l’altro. Mi tuffo quindi coraggiosamente a Cortona, dove mi aspettano le esposizioni di grandissimi nomi, tra i quali spiccano quelli di Toledano, Giacomelli, Delano e Troilo.
Arrivare in paese non è così semplice, soprattutto con questi quaranta gradi, perché il centro è inerpicato su una splendida ma irta collina. Per fortuna ci sono le scale mobili.
Seconda rampa: fuori servizio.
Terza rampa: fuori servizio.
Un tratto sufficiente per imparare imprecazioni e bestemmie nelle cento lingue diverse parlate dai numerosissimi turisti stranieri presenti. Interessante, anche se una volta in cima, la vista fa subito dimenticare l’accoglienza scadente.
Per le splendide strade e stradine c’è un gran fermento, ma non ressa per fortuna, tant’è che senza far coda e con quindici giusti euro ho subito il prezioso biglietto tra le mani. Le mostre a pagamento sono esibite in cinque diverse location, un modo per poter visitare diversi angoli che questa cartolina toscana offre, ma ancor prima di poter iniziare, la cassiera informa che si sta tenendo un brunch in Piazza Signorelli.
Eccolo là, preciso e puntuale, il famoso buffet non si fa attendere neanche un minuto, neanche il tempo di intravedere una foto. Bruschette, pasta, fotografi, gente che fa le foto a gente che fa le foto, ma soprattutto una conca piena di ghiaccio e birre in bottiglia, con una ragazza angelica che le distribuisce. Basta dire “birra” o anche niente, che lei ne stappa una e te la porge col sorriso, infinite volte. Una pacchia senza precedenti. Amo Cortona, amo il Cortona On The Move. “Io sono a posto, posso anche tornare a casa”, dice una mia amica.
Al terzo giro chiedo alla ragazza-angelo: “Cosa si prova a distribuire birre gratis?”. “È stupendo”, mi risponde.
Prima tappa, Vecchio Ospedale, un ambiente ampio e grezzo che fa molto “arte sì, ma fuori dai salotti buoni”. Sono ancora visibili resti delle strutture dell’ospedale che si mischiano con le opere, praticamente una specie di film horror di classe.
Qui trova spazio la mostra di Kai Wiedenhoefer, fotografo tedesco che ha vissuto sulla propria pelle l’oltraggio del Muro di Berlino, e che espone oggi il progetto ‘Confrontier’, mostrando quanti muri fisici dividono ancora oggi popoli, culture, stati, città. Un lavoro davvero interessante e corposo, che va oltre la bellezza delle foto gigantesche.
L’italiana Elena Perlino invece propone il progetto ‘Pipeline’, incentrato sulla prostituzione delle donne nigeriane in Italia. Sedie di plastica lungo le strade, ragazze seminude alla ricerca di clienti, scenari familiari che nel fermo immagine rendono ancor meglio lo squallore di tante situazioni.
I fotografi presenti come visitatori si lamentano per la qualità delle stampe e la presentazione approssimativa, e devo dire che non è questione di “ph” che si sta pericolosamente abbassando verso l’acidosi, perché non hanno tutti i torti.
Prima di uscire visito anche ‘Blue Sky Days’ di Tomas Van Houtryve, una spettacolare esposizione di immagini realizzate utilizzando un drone, per creare un parallelo tra le foto scattate, che ritraggono situazioni ordinarie, e la visuale di un drone militare prima del bombardamento. Una mostra che punta il dito verso la segretezza di certe missioni dell’esercito americano, che tante vittime innocenti hanno mietuto. Notevole anche l’installazione all’interno di una camera buia.
Questo bel film horror di classe subisce improvvisamente una virata thrilling a causa dell’avvistamento di un visitatore scalzo: vera pastorizia, il non plus ultra degli hipster o un performer collegato alla mostra? C’è da aspettarsi di tutto.
Il Vecchio Ospedale ospita anche una parte “Off Circuit” da scoprire, fatta eccezione per la immancabile saletta video, quella in cui tutti stanno zitti, si chiedono cosa stanno guardando, perché si trovano lì e qual è il tempo minimo di permanenza per non fare una figura da ignorantoni. Ecco, lì c’è una gran puzza, oltretutto.
Lì vicino c’è l’Ex Magazzino Delle Carni, seconda tappa del mio tour, che con quel nome mi porta di nuovo alla mente film dell’orrore, che guardacaso, mi piacciono pure parecchio. Questa location è molto più piccola, ma mantiene lo stile “true” e scrostato dell’ospedale.
Addirittura sulle pareti campeggiano, oltre ad i quadri, graffiti celebrativi dei successi del Milan, dagli scudetti alle coppe. Pur non essendo Carlo Pellegatti apprezzo molto questo ingresso in punta di piedi dell’arte nei luoghi del paese, che così sono e così rimangono anche in occasione del Cortona On The Move.
C’è pure un Cristo abbandonato da chissà quanti anni, lasciato in una mini saletta a marcire, accanto alle opere di Alejandro Chaskielberg.
L’artista argentino presenta ‘Otsuchi Future Memories’, un lavoro dedicato alla cittadina giapponese Otsuchi, spazzata via dal maremoto del 2011. Il progetto non è solo fotografico, ma anche di restauro di immagini ritrovate sul luogo, i classici e non troppo metaforici “brandelli di vita”. Anche qui gente più esperta di me storce il naso, come se bisognasse essere esperti per godersi una qualsiasi mostra.
Probabilmente anch’io ricorderò di più l’atmosfera squatter del posto rispetto alle immagini, che ancora una volta ci rimandano il vero disagio, mentre fuori, al lussuoso Circolo degli Operai, si sentono sbocciare champagnini fra gli applausi. Questo mondo è un po’ così, dolori e sofferenze mischiati ad aperitivi non stop.
Il giro prosegue in direzione Palazzo Ferretti, sede principale delle esposizioni in paese, luogo ideale per gli yuccie, dove sfoggiare Canon 1D o Nikon D4 a tracolla di outfit alternativi alla sobrietà ed al mio normcore, intenti come sono ad acquistare shopping bag con bambini poveri stampati sopra.
Qui il livello si impenna, la location è ricca ed elegante, i nomi si fanno ancora più importanti. Nella sala principale sono esposte venti opere di Mario Giacomelli, alcune delle quali inedite, che compongono una retrospettiva dell’artista, scomparso nel 2000.
Il suo approccio intellettuale fa sbuffare i meno avvezzi alla storia della fotografia, che invece si soffermano sul più immediato progetto di Giovanni Troilo ‘Le Ville Noir, The Dark Heart Of Europe’, proprio quello che valse all’autore il World Press Photo. Un prestigiosissimo premio rivolto al fotogiornalismo, peccato che i set di queste fotografie sono stati allestiti. Si tratta di immagini di luoghi e persone di Charleroi, in Belgio, città caduta in disgrazia a causa della crisi economica. La polemica che seguì l’assegnazione del premio non riesce ad offuscare la bellezza di queste opere, che però chiaramente non hanno a che fare col reportage.
Nella terza sala Txema Salvans espone ‘The Waiting Game’, dove il gioco dell’attesa è quello delle prostitute nei confronti dei clienti, di nuovo. “Le puttane vanno un casino quest’anno”, dice qualcuno, non a torto, che evidentemente era già stato al Vecchio Ospedale.
Appena di fronte a Palazzo Ferretti c’è lo spazio Rugapiana 60, dove Andrei Polikanov cura una mostra che ha come tema la Russia. La location si sviluppa su più piani, piccoli e antichi, anch’essi arredati come se il Cortona OTM fosse giusto un ospite passeggero.
Le foto sono di Alexander Gronsky, che scova lo squallore e l’inumanità di luoghi urbani; di Tatiana Plotnikova, che studia il misterioso ed inquietante popolo Mari (gli ultimi pagani d’Europa); di Ksenia Diodorova, che trasporta nella desolazione del Tajikistan; e di Evgenia Arbugaeva, che fa vivere l’esperienza di un metereologo al circolo polare. Quanti nomi difficili, quanto disagio, quanta bellezza in questa palazzina tipica cortonese.
Intanto fuori le vie sono sempre più sature di americani, sempre più ariani, sempre più grassi.
Manca ancora il clou, il boccone del prete, il top del festival, ma per questo basta recarsi alla Fortezza di Girifalco, che non è frutto della fantasia di Tolkien o della Rowling. Sulla mappa sembra vicino, solo perché le cartine non mostrano i dislivelli. L’impresa in realtà è ardua, il caldo incombe, c’è chi dice che andarci a piedi è improponibile.
Navetta? Non esiste.
Nessuna istruzione su come arrivarci, il navigatore che non ce la fa, quindi solo dopo aver chiesto e circumnavigato le mura con la macchina, arrivo finalmente nella parte più alta di Cortona. La fortezza ospita le mostre più importanti di questa edizione, ma comunque non offre granché in quanto a indicazioni, le uniche sono dei divieti simpaticamente sgrammaticati.
Il luogo è suggestivo e perfetto per ospitare i big, su tutti Phillip Toledano ed il suo progetto ‘Maybe’. Un lavoro che fotografa il futuro anziché il passato, perché l’artista concettuale angloamericano, dopo analisi genetiche sulle probabilità della sua morte, ha ricreato eventualità future che vedono lui stesso protagonista. Trucco prostetico a pacchi, che fa pensare al Bad Grandpa di Johnny Knoxville o ad un Jonah Hill del futuro, la mostra è letteralmente una bomba, con le sue stampe enormi e perfette.
Altro nome di spicco qui presente è quello di James Whitlow Delano, che con ‘Japan’ unisce più progetti che fotografano il paese del Sol Levante, dai suoi aspetti più curiosi fino a quelli più tragici legati allo tsunami del 2011, che evidentemente quest’anno, insieme alle puttane di cui sopra, va un casino.
Le altre mostre qui esposte sono quella dei bambini in bianco e nero di Carla Kogelman, il non convincente progetto di Alvaro Deprit e Michaela Palermo sui luoghi dei film di Sergio Leone e ‘6th Continent’ di Mattia Insolera, un vasto ed interessante lavoro sulle mille facce del sesto continente, cioè il Mar Mediterraneo e tutto ciò che vi si affaccia.
Cortona On The Move proseguirà fino al 27 settembre, ma io ho voluto abbracciarlo subito, finché l’hype non avrà lasciato spazio alla colpevole noia. Non so se il tal Winslow fosse ubriaco, ma sta di fatto che si tratta davvero di un gran bel festival, un giro del mondo a portata di mano che oltre alle esposizioni offre workshop, eventi collaterali e mostre gratuite molto belle (vedi i lightbox di ‘Flaneur’ nel parco, ed ‘Exposed’, con le sue proiezioni al teatro Signorelli).
Il paese di Cortona è semplicemente spettacolare come cornice del festival, e l’evento in sé è stato per me un bagno d’arte e cultura (ottimo diversivo dai vari e brutali “esci le minne” quotidiani, imperanti sui social), di altissimo livello senza però essere ingessato o per pochi, consigliato vivamente a tutti per una visita giornaliera.
Prima di andarmene mi ricordo che Jovanotti abita proprio qua, quindi preparo un torcione, lo sistemo davanti al portone di casa sua, suono il campanello e scappo, ma come promesso alla ragazza-angelo che dava le birre, tornerò sicuramente l’anno prossimo.