Non chiamatelo “corso di rap”. La cultura hip hop, in questi anni (fatevene una ragione se ancora non ve ne siete accorti) si è diffusa con forza anche in Italia e i rapper hanno coinvolto i giovani con uno strumento forte di espressione, critica sociale e partecipazione. E l’attenzione alle parole, la riflessione sul modo giusto per raccontare quello che a ciascuno sta a cuore, qui è ai massimi livelli.
Così da qualche anno l’associazione Il Razzismo è una brutta storia, propone ormai da qualche anno in giro per le scuole d’Italia il progetto “Potere alle Parole”. Un laboratorio educativo e musicale di destrutturazione degli stereotipi e dei pregiudizi alla base delle discriminazioni per origine, orientamento sessuale, identità di genere, convinzioni personali e disabilità, destinati agli studenti di istituti scolastici superiori di secondo grado. Direttore artistico del progetto il rapper Amir Issaa, romano di origine egiziana, che già più volte ha affrontato nei suoi brani anche il tema delle seconde generazioni.
Due incontri pomeridiani di 4 ore, con i rapper/docent Amir e Jack The Smoker. L’obiettivo? La scrittura di una strofa per una canzone sul tema discriminazioni. Il progetto arriva a Prato all’interno del “Settembre, Prato è spettacolo” è aperto a 20 ragazzi e si svolgerà l’11 e il 12 settembre (iscrizione gratuita scrivendo a [email protected]).
Amir, cosa è questo progetto?
Questo non è un corso di rap utilizziamo il rap come strumento per parlare e giocare coi ragazzi. Ci parliamo di temi sociali, del razzismo e di tutte le forme di discriminazione. Molto spesso parlando di rapper o guardando quelli della televisione, si pensa a sbandati che vengono dalla periferia che parlano solo di soldi e donne con le macchine grosse: il rap come lo intendiamo noi è un’altra cosa. Noi puntiamo su comunicare contenuti importanti, di spessore: ho un figlio di 15 anni e mi sento più credibile ai suoi occhi a fare cose di questo genere
Come si struttura lo workshop?
Partiamo dalla storia di questo genere musicale e poi passiamo al punto di vista tecnico. Poi parliamo assieme a loro della discriminazione, del razzismo e dell’immigrazione, dell’omofobia. Gli facciamo provare a scrivere qualcosa su queste tematiche, li facciamo sfidare tra di loro e alla fine cerchiamo di realizzare un brano collettivo, prendendo un pezzo da ogni loro lavoro
Ma i ragazzi di oggi sono razzisti?
Stiamo vivendo un periodo storico, ti parlo dell’ultimo anno, in cui c’è molta disinformazione. I ragazzi adolescenti parlano per frasi fatte “ci rubano il lavoro”, “siamo invasi”, “a loro danno i soldi”: frasi che molto spesso sentono dai genitori o in televisione. Però, a differenza degli adulti, hanno un pregio: cambiano idea se riesci a convincerli. E noi portiamo loro dati reali sull’immigrazione, cerchiamo di smontare i loro luoghi comuni. Per quanto riguarda l’omosessualità invece la vivono come tabù in generale, mentre alcuni riescono ad aprirsi.
Perché il rap negli ultimi anni ha tanta presa sui ragazzi?
Perché parla della loro vita ed è di facile realizzazione se sei capace di dire qualcosa. Un ragazzo di 16 anni se ascolta oggi Vasco Rossi o un rapper si rispecchierà nelle cose di questo ultimo. E non sto parlando dei contenuti: è chiaro che ci sono anche quelli che gli diranno “prendi una tanica di benzina e dai fuoco alla tua scuola”, ma di efficacia dell’invio del messaggio. E poi è un mondo che si muove quasi esclusivamente sui social, riescono a intercettarli in modo efficace. Ci sono rapper famosissimi nella scena underground che molto spesso hanno la loro età, come fanno a non rispecchiarsi in quello che raccontano?