L’ufficio dell’assessore alla cultura Simone Mangani è un classico esempio di caos controllato. Ci accomodiamo alla grande scrivania straripante libri, giornali e riviste. Alle pareti ci sono foto giganti e manifesti colorati. L’afa di fine giugno non sembra voler mollare la prese, nonostante siano le cinque di pomeriggio.
Mangani, la Prato Estate è partita, il nuovo Settembre Pratese è stato presentato. E’ soddisfatto della programmazione culturale di Prato?
“Sono molto soddisfatto, specialmente della Prato Estate. Per quanto riguarda il Settembre Pratese, gli abbiamo voluto cambiare nome ma è rimasto un evento popolare, destinato cioè a coinvolgere il maggior numero di persone come è giusto che sia. L’unica cosa che abbiamo cercato di fare da tutti i punti di vista, compreso quello organizzativo, è stato renderlo un po’ meno “strapaesano” degli altri anni e penso che alla fine lo scopo sia stato raggiunto”.
Il M5S ha annunciato di voler portare alla Corte dei Conti la modalità di affidamento usato per la Prato Estate.
“C’è malizia in un certo modo di fare opposizione. In politica si può dire tutto, per carità, ma non si possono omettere dei dati quando si fanno certe affermazioni. Il Comune di Prato si accolla le spese di una parte del costo complessivo degli eventi. Tutto il resto è a carico dell’organizzatore, che come ogni imprenditore ha una linea di pareggio che deve far di tutto per raggiungere. E’ falso dire, come è stato fatto, che il Comune paga due volte”.
I grillini accusano questa giunta anche di non avere una vera visione culturale per la città. Cosa risponde?
“Rispondo che domani (ieri 1 luglio 2015 ndr) porteremo in consiglio una delibera di indirizzi politici che rispondono proprio a questa domanda. Doveva essere votata giovedì scorso, ma poi il caso Varvarito ha preso la mano. In questa delibera ci sono alcune considerazioni importanti. La prima e più generale considerazione che se ne può trarre è che la politica culturale di una città non può essere fatta dentro gli uffici dell’assessorato ma deve essere fatta insieme a tutte le istituzioni culturali cittadine. E questo significa, per esempio, fare un accordo strutturale tra Metastasio, Officina Giovani e Pecci, che trasformi Officina in uno dei luoghi della sperimentazione e delle culture emergenti in città. Oppure potenziare Camerata Strumentale e scuola di musica Verdi come abbiamo intenzione di fare. Dobbiamo cambiare lo statuto, prima di tutto, per adeguarlo alle richieste del Ministero e in questo modo cambiamo anche le ripartizioni della capacità contributiva dei soci per far fronte all’assenza della Provincia, che in futuro non potrà più dare il suo contributo. Quindi ci saranno 100mila euro per le attività delle due istituzioni e 450 mila per la convenzione tra Verdi e orchestrali. Inoltre stiamo valutando l’adesione, secondo me importante, del Comune alla Fondazione Toscana Spettacolo e al suo circuito: sono 4 mila euro l’anno ma al di là della spese, il circuito della Fondazione potrebbe davvero significare molto per le compagnie teatrali indipendenti di Prato. Non mi piace il termine “sistema” ma il nostro scopo è mettere in relazione e far dialogare tutte le istituzioni culturali della città”.
Parliamo del teatro e del Metastasio, che ha ricevuto finanziamenti maggiori come Tric che come stabile. E’ una vittoria?
“Sicuramente fa piacere dire che siamo riusciti a parare il colpo. Di fatto, adesso il Met incamera 860 mila euro contro i 517 mila degli anni passati e questo ci permette di fare due cose. La prima è dimostrare a tutti coloro che ci accusavano di svendere il Met che così non è stato; l’altra è coprire i contributi al Met che la Provincia non è più in grado di coprire. A livello di programmazione, l’esclusiva del teatro Magnolfi ci permette poi maggiore agilità e soprattutto ci consente di dare una sede all’agenzia formativa del Metastasio”.
Il Settembre pratese è fatto, il Metastasio sistemato, al Pecci è nata la fondazione, Prato è una fucina di eventi, concerti, nuovi locali, spettacoli. Cosa manca ancora?
“Probabilmente manca una consuetudine nei rapporti che questa città ha con il proprio patrimonio artistico e culturale. Una volta si ama il Pretorio, un’altra la Campolmi e così via. Però mancano gli strumenti perché questo amore, che c’è e che si vede, diventi una relazione vera, continua e duratura. E soprattutto manca la percezione dell’importanza strategica del Pecci, che da sempre viene visto da molti come un corpo estraneo alla città e come una macchina mangia soldi. Capire che lì può ripartire il rilancio della città è fondamentale. In tre o quattro anni, una volta completato il raddoppio e riaperto la struttura alle esposizioni, sapremo se questa relazione con la città può davvero nascere oppure no. Ed è una relazione, sia chiaro, tutta da costruire, non da ricostruire. Questo è l’ultimo appello per Prato e il Pecci, e posso dire sia una vera e propria sfida di mandato per questa giunta”.
A proposito di sfide. Come giudica il primo anno d’attività di questa giunta? C’è l’impressione di essere un po’ “ingolfati”, per così dire, oppure no?
“Che esista la percezione che su alcune questioni si sia in attesa di decidere, lo sappiamo. Mi sembra però ordinario che una giunta nei primi due anni di mandato metta le basi per quello che vuole fare in futuro. Quindi preferisco mi si dica che non c’è un orizzonte o un progetto ma poi si lavori per mettere in piedi una rete di relazioni e di intese, piuttosto che fare fuochi d’artificio i primi due anni e poi ritrovarsi con un nulla di fatto in fondo al mandato. Questo però, e mi sembra doveroso ribadirlo, è stato anche un anno di scelte per quanto riguarda la cultura a Prato. Proprio sul Pecci, per esempio, abbiamo deciso di fare la Fondazione. Potevamo non farla, ma secondo noi è lo strumento giusto non solo per gestire la struttura ma anche per provare a rilanciare l’arte contemporanea a Prato”.
Progetti e sogni per il futuro di Prato?
“Mi piacerebbe tantissimo dare una risposta concreta ai luoghi di produzione cittadini, che sono tantissimi. A Prato ci sono molti soggetti che di professione fanno produzione di tipo teatrale, artistico o di spettacolo ma la parcellizzazione, l’atomizzazione di queste realtà rischia di soffocare la scena senza farle fare il salto di qualità. Allora penso che il Comune debba fare il facilitatore, unire i puntini come nel gioco della Settimana Enigmistica. Almeno cinque o sei realtà potrebbero benissimo girare l’Italia tutto l’anno e sarebbe molto bello trovare dei luoghi dove poter permettere loro di progettare e creare”.
Stiamo parlando di residenze, mi sembra.
“Si, sarebbe molto bello rispondere alle richieste di queste realtà proponendo delle vere e proprie residenze, rigorosamente a tempo determinato, ma ci sono due ostacoli molto grossi. Il primo è il costo di queste operazioni, che è altissimo, e il secondo sono i luoghi da adibire a questo tipo di attività. Però, se fisicamente non riusciremo a fare cose del genere, possiamo provare a farlo in modo virtuale, facilitando come dicevo prima relazioni e produzioni”.
C’è un luogo pubblico o magari privato che l’assessore Mangani vorrebbe veder rivitalizzato o trasformato?
“Per quanto riguardo il luogo pubblico il sogno si chiama Santa Caterina, qui accanto. Però è un sogno, la verità è che la struttura cade a pezzi. Se invece devo pensare un luogo privato mi piacerebbe molto veder completato il compound della Campolmi, riuscendo a trasferirci l’archivio fotografico toscano e predisponendo un’altra struttura a spazio polivalente”.