“Un libro scritto da un gobbo per gobbi”. Così Enrico Tordini, lo scrittore pratese che avevamo lasciato dalle parti di “Sangue Giallo“, presenta “A un passo dal cielo” (Alcheringa Edizioni, il nuovo lavoro che questa volta ha però a che fare con il calcio, la Juventus e soprattutto con i suoi giocatori più deludenti. Un libro sulle meteore a strisce bianconere, su quelli che negli ultimi trent’anni si sono fermati prima di salire nell’olimpo bianconero.
Un libro sulle meteore della Juventus e sulle aspettative deluse dei tifosi bianconeri. Perché?
“Perché nonostante tutto continuo a ritenermi un uomo di sinistra e quindi mi piacciono i perdenti. Nel calcio si fa troppa attenzione ai successi, ai giocatori di successo e alle loro storie. Ma sono molti di più quelli che non ce l’hanno fatta, molto spesso per un dettaglio, un episodio sfortunato”.
Un esempio?
“Per farti capire, racconto una cosa opposta e che non c’entra niente con la Juve. Tutti conoscono Boninsegna. Giocava a Prato, in serie C, e fino ad un fatidico giorno non è che si fosse distinto in modo particolare. Ma nella partita in cui erano seduti in tribuna i dirigenti della Nazionale in visita a Firenze, segnò due reti e vinse la partita da solo. Valcareggi alla fine di quella stagione lo portò a Cagliari insieme a Riva. Ecco, episodi come questi, colpi di fortuna o meno, hanno segnato le carriere di tanti giocatori. Anche di quelli della Juventus. Dove magari sono arrivati acclamati come dei campioni per poi andarsene senza essere riusciti a dimostrare niente, come per esempio Henry”.
In effetti Henry me lo ricordo anch’io. Per quello che non ha fatto, intendo.
“Alla Juventus non funzionò, punto. E’ anche vero che Ancelotti avrebbe potuto farlo giocare un po’ più avanti, ma fu in seguito, all’Arsenal e per puro caso, che esplose come centravanti. Tutto l’attacco titolare si era infortunato e l’allenatore gli chiese se se la sentiva di provare centravanti. Fece tre gol e non smise più”.
Da tifoso sfegatato della Juve, qual è stata la delusione più cocente?
“Domenico Marocchino è stato l’esempio di talento più puro dilapidato alla Juventus. Era un attaccante col fisico da tedesco e i piedi da brasiliano, dissero all’epoca. Ma da quanto ne so aveva un caratteraccio, e non riuscì a sfondare mai. Il bidone più clamoroso secondo me fu invece Pacione: nel 1986 ero a vedere la Juventus giocare contro il Barcellona a Torino. Pacione sbagliò quattro o cinque palle gol clamorose. Me la ricordo ancora quella partita”.
Tra Vieri, Fanna e Maresca, spunta anche il nome di Haller.
“Beh, il nome di Haller è una concessione che mi sono fatto. E’ stato il giocatore che mi ha fatto innamorare del calcio. Arrivò alla Juve che aveva trent’anni, con una panza da bevitore ben evidente e una classe tale da far impallidire tutti i suoi compagni di squadra. Ma allo Stadium non esiste una stella col suo nome e a me sembra una grande mancanza, perché il talento e la classe vanno ricordati. Così, averlo inserito in questo libro spero funzioni come una sorta di compensazione”.