Sir Bernard Crick era un visionario e come tale anche un po’ un vero realista. Negli anni ’60, quando nessuno nei circoli accademici o negli ambienti più raffinati della politica occidentale faceva il tifo per la democrazia rappresentativa, vero ostacolo alle rivoluzioni socialiste di destra e di sinistra, ne scrisse un’appassionata difesa. Era anche anglosassone, il baronetto della politologia, e come tale aveva nel sangue la predisposizione a fungere da oracolo per liberali e democratici nel mondo.
Molti sono i concetti e le idee per proteggersi dal populismo oppure dall’incubo della tecnocrazia che sembrano parlare direttamente all’Italia, al nostro modo di intendere e di fare politica. Ma, per l’interpretazione di queste elezioni Regionali c’è una definizione che sembra stagliarsi benissimo fra quel che ho imparato della politica e il funzionamento della democrazia nell’età renziana:
“Democrazia è forse la parola più equivoca impiegata nel mondo dei pubblici affari. Essa è l’amante di tutti, e tuttavia conserva il suo fascino anche quando chi l’ama si accorge che concede illecitamente i suoi favori ad altri. Infatti, malgrado il dolore che ci procura la sua infedeltà, noi siamo orgogliosi della sua capacità di adattarsi ad ogni circostanza, ad ogni tipo di compagnia”.
A ben pensarci quest’idea romantica e anche un po’ puttanesca del voto democratico è stata negletta in Italia per un buon cinquantennio di vita repubblicana, quando la fedeltà elettorale, la dimensione identitaria di appartenenza ad un partito, ad un’area culturale di riferimento era la stretta osservanza con la quale potevi dimostrare di essere un adulto coscienzioso. Nell’ultimo ventennio, anche da noi è arrivata, invece, la dimensione competitiva. E come per altri fenomeni culturali provenienti dall’estero, in Italia ne abbiamo dato una versione estrema.
Così, l’elettorato ha iniziato a comportarsi come quelle amanti che vogliono vivere l’apice del piacere ogni giorno e che tollerano la prima, la seconda delusione, ma già dalla terza cominciano inesorabilmente a guardarsi intorno e a cercare un’alternativa o, nella peggiore delle ipotesi, una qualche forma di consolazione.
Fuor di analogia, Renzi dopo aver sedotto l’elettorato con la storia degli 80 euro ha cominciato a considerare solo il suo ego, a porsi come prospettiva l’abbattimento di ogni avversario, meglio ancora se interno e istintivamente ha traslato ogni critica sul terreno dell’inimicizia verso il Paese intero: vedi alla voce gufi. Ogni critica a lui e al governo, automaticamente, è stata additata ad esempio di “quelli che vogliono la sconfitta dell’Italia”. E l’amante, l’elettorato? Ha cominciato a darlo per scontato, a considerarlo cosa sua. Confondendo il successo delle Europee con l’investitura perenne, il fidanzamento con la promessa eterna di un matrimonio. Ma ha sottovalutato la volubilità degli italiani.
È significativo, a tal proposito, che in appena 12 mesi il Partito Democratico abbia smarrito sul cammino verso il potere e, in appena 7 Regioni- quelle sottoposte al voto di domenica scorsa-, ben 2 milioni di cittadini. Anche in Toscana, dove le cose per i dem sono andate relativamente meglio il Pd ha sofferto una limatura di 400 mila voti e, peggio ancora, di dieci punti percentuali. Segno, che la strategia renziana di demolire i detrattori o favorirne l’ascesa di altri molto radicalizzati e ben poco attrezzati per competere in senso maggioritario (vedi alla voce: Matteo Salvini) sta avendo l’effetto benefico per il Pd di tenere lontani dalle urne milioni di elettori, che nel resto d’Europa sarebbero incasellabili in una forza del Ppe, ma l’astensione asimmetrica (altro anglicismo ‘visionario’ della politica per vincere le elezioni, basato sul tenere a casa gli avversari in luogo del prendere, banalmente, più voti) ha cominciato a infliggere coltellate sul corpo così apparentemente inscalfibile del Partito Democratico.
In ogni singolo collegio, inoltre, in Toscana abbiamo avuto anche il ritorno alle preferenze e a Prato il successo preventivato di Nicola Ciolini e quello meno atteso, ma ugualmente temuto dai maggiorenti del Pd di Ilaria Bugetti. Il primo, con una campagna elettorale di pura penetrazione del candidato nelle cronache cittadine, anche al costo di qualche scivolone o gaffe, ma anche con la certezza di non avere rivali fra i candidati maschili. Dettaglio non secondario, visto che questa elezione- in ossequio alle quote rosa- ha introdotto la doppia preferenza di genere. Bugetti, invece, lavorando per mesi in modalità low profile ha avuto l’efficacia sorprendente di un sottomarino a propulsione silenziosa.
Quali lezioni, pertanto, possiamo apprendere a Prato, in Toscana e in Italia da questa tornata elettorale?
1) Col 50% appena dei votanti su scala nazionale e anche qualcosa in meno in Toscana, possiamo dire che l’elettorato-amante (scusate, torno a piedi uniti dentro la narrazione crickiana di democrazia) ha cominciato a mandare dei segnali inequivocabili di inappagamento, mixando l’astensione/astinenza con il guardare con simpatia altri partner plausibili;
2) La sicurezza di sé portata ai livelli parossistici sul lungo periodo si trasforma in hybris pura, con le evidenti sanzioni che reca con sé già sul medio periodo. Il premier, facendo affidamento su uno smisurato storytelling col tempo è sfociato nell’inverosimile. Dichiarazioni come il “grazie al governo e al semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, la Bce ha varato il quantitative easing”, oppure “l’Italicum è una legge elettorale che all’estero ci invidiamo e ci vogliono copiare” o ancora “gli 80 euro sono una riduzione delle tasse”, “con il Jobs Act cala la disoccupazione”, sono quelle bugie/millanterie che vengono tollerate con ottimismo nei primi mesi di una relazione, dopo possono esserlo se ci sono anche risultati significativi, difficilmente percettibili in un Paese che ha ancora un livello record di disoccupazione;
3) Il corollario del punto 2) è che se le millanterie continuano e non c’è un impegno a migliorare lo status quo si dà l’idea all’amante-elettore di dare acquisito per sempre il suo consenso, il suo appoggio, la sua corresponsione. Il che notoriamente è una delle principali cause delle scappatelle fedifraghe;
4) Quando la novità di una relazione fulminante si appanna, un tuffo nella tradizione, nel ritorno dell’uguale se volete fare i nichilisti o nell’usato sicuro se avete come immaginario sentimental-politico un distributore di benzina nella ridente Bettola, serve per riordinare le idee. E paiono usciti dal deposito della memoria della sinistra i due candidati presidenti più vittoriosi, ovvero rispettivamente il nostalgico di Berlinguer (neanche di D’Alema o di Bersani, proprio di Berlinguer), Enrico Rossi e il dinosauro del Tavoliere, Michele Emiliano. Perché quando stanno per naufragare le migliori relazioni il ritorno dall’ex rappresenta sempre un ancoraggio confortante;
5) I ‘regalini’ sono il sale del buon amore, ma non ne rappresentano l’essenza. Anche qui, usciamo dall’immagine e misuriamoci con la realtà: aver considerato perennemente sufficiente l’effetto degli 80 euro in busta paga (per la minoranza abbondante, che ne fruisce) è stato un errore strategico notevole;
6) L’insoddisfazione può raggiungere delle punte aguzze, che anche senza partner ugualmente attraenti nei paraggi, non ne scongiura la fuga verso altri. Illuminanti a tal proposito le vittorie di Giovanni Toti in Liguria e Luca Zaia in Veneto. Non hanno qualità particolarmente carismatiche, né dei leader vincenti a livello nazionale sui quali riporre grandi speranze di trascinamento, ma sono stati migliori della mediocrità dell’alternativa. Nel caso di Zaia si è aggiunto l’elemento non secondario di aver governato bene;
7) Essere ancelle del Capo, non basta più (Paita e Moretti);
8) Sul livello pratese, spolveriamo una golden rule: a volte, se non hai molto da dire un solo messaggio può risultare efficace: Nicola Ciolini ce lo ricorderemo più che per il programma o per discorsi memorabili, per il racconto di sé di essere “il capolista” del Pd e come tale da votare necessariamente per un dem;
9) Anche se le preferenze sono un mercato molto più ristretto di un’elezione diretta di un governatore e, quindi, controllabile con una certa agilità dagli apparati di partito e di corrente non si può proprio proporre agli elettori candidati o candidate di assoluta irrilevanza, purché con gli sponsor giusti. A questo proposito, si rimanda al colossale #ciaone che gli elettori hanno tributato ad Aurora Castellani;
10) Mai sottovalutare gli underdog o le underdog. È un altro modo di dare per scontata l’amante. Poi, però la democrazia un giorno ti trova in Liguria un improbabile Giovanni Toti, a Prato un’Ilaria Bugetti nonostante il logorio degli anni di segreteria provinciale e…qualche mese dopo un’alternativa anche al premier-leader-segretario. Occhio.
Carlandrea Poli lavora per l’agenzia Dire, tifa Milan e Mourinho, è fan di Sartre e del neomonetarismo.