La tessera del Glue? Ce l’ho. Là i cocktail sono ottimi, ed i concerti pure, stasera infatti ci sono in programma Iosonouncane e Femina Ridens, oltre a qualche tequila sunrise di troppo. Ad un profano la serata potrebbe apparire come un raduno di cinofili, detto questo non è il caso di proseguire con battute scontate, soprattutto riguardo a Iosonouncane, nome che si presta a mille storpiature e blasfemie, di cattivo gusto e divertentissime, un po’ come le barzellette sulle persone grasse o ebree, o grasse ed ebree. D’altronde “Io Sono Incani”, vero cognome del cantautore sardo, sarebbe suonato troppo didascalico e formale, mica siamo al raduno aziendale di primavera. Niente cravatte dell’Oviesse e attitudine da Lapo Elkann, niente “ohhh Grandissimo!!” e tic anfetaminici stasera, per fortuna, ma musica di qualità, profonda e passionale.
Il locale è praticamente pieno, questa musica per giovani adulti, un po’ impegnata e alternativa, vende più dei bastoni per i selfie in Piazza della Signoria a Firenze. Un pubblico maturo, più incline all’abuso di ansiolitici che non all’ubriachezza molesta, probabilmente, pronto adesso ad ascoltare il live di Femina Ridens, sorseggiando un bicchiere di vino. Il duo fiorentino presenta stasera il nuovo disco ‘Schiaffi’, che già dal titolo conquista l’attenzione, e candida la band ai vertici della scena indie locale e non solo. Francesca Messina è l’anima e la voce di questo progetto, nel quale una leggiadra musicalità di stampo cantautorale si mischia a parole che tagliano alla stregua di lame affilate, proprio come il nome del duo lascia intendere.
La dolcezza del tratto femminile è solo un mezzo per amplificare l’essenza della iena, animale feroce e dalla risata beffarda; i Femina Ridens svelano il mistero del dualismo costante fra le maschere che indossiamo tutti i giorni e il vissuto interiore senza filtri. Qualcuno accanto a me dice a proposito della cantante: “Mi ricorda un po’ Arisa”, e l’altro: “A me Carmen Consoli”, al ché dico loro di andarci piano con le offese, perché al massimo può somigliare a Lady Violet, quella del glorioso periodo dell’eurodance anni ’90, visto che si tratta proprio di lei. Immagini scorrono sul retro della scena, mostrando gattini in caduta libera ed altre suggestioni tenere e romantiche, che contribuiscono all’effetto dissonante dato dai testi magistralmente cantati, che sfidano i pudori e si scagliano contro le convenzioni. La chitarra acustica di Francesca viene completata dalla parte elettronica, curata da Massimiliano Lo Sardo, che dà un tocco più moderno alle atmosfere intimiste, contribuendo all’originalità di questa interessante band.
Durante il cambio palco il locale torna a mostrarsi come un grande salotto discreto, finché Jacopo si trasforma in Iosonouncane, portandosi dietro alla console con ancora addosso il giubbotto, tanto ci sono solo una trentina di gradi qua dentro. È in tour per presentare il suo nuovo disco ‘Die’, che ancora non ho capito se va letto come fosse una parola latina, tedesca, inglese o sarda, fatto sta che si tratta di un concept album dedicato alla vita dei pescatori e delle loro mogli. La voce potente e precisa di Incani mi colpisce subito, pare un Lucio Dalla che ha iniziato a frequentare Death Grips, viste le basi elettroniche che accompagnano lo stile tipico di Iosonouncane. Di nuovo sento i due tipi di prima che commentano: “Pare Fabio Volo”, e l’altro: “A me sembra Salvini”. Faccio notare loro che non avendo il felpone con la scritta Firenze o Toscana non assomiglia affatto a Salvini, però aspettiamo che si tolga il parka, che non si sa mai. Una cosa è certa, i testi sono molto lontani dallo squallore riconducibile a Fabio Volo, anzi, sono espressi con notevole intensità.
Le basi danno una dimensione avanguardista a questo progetto, che veramente riesce ad unire la tradizione italiana ad un sapore internazionale e contemporaneo; il pubblico è rapito e si lascia trasportare, fin quando, nel bel mezzo di una canzone, si sente uscire dall’impianto un “viola merda” che fa sussultare tutti quanti, proprio a due passi dallo stadio come siamo. Esattamente come quando stai parlando di cose turpi, nell’attimo della parola chiave tutti si zittiscono per una frazione di secondo, facendola risuonare in echi infiniti. Ha detto davvero viola merda? A me è sembrato Viva La Merda, dice qualcuno; mica è Gianni Morandi, dice qualcun’altro; basta con le battute su Gianni Morandi vecchie di dieci anni, dico io. Quindi tutto ok, il concerto può proseguire. Ad un certo punto la barista esce da una porta laterale e mi dice che se l’avessi tenuta d’occhio per evitare intrusioni mi avrebbe regalato due shot, quindi ho fissato per cinque minuti la porta e mi sono perso le fasi finali del concerto, conclusosi dopo un’ora e un quarto dall’inizio. Lo avrebbe fatto chiunque, no?