“Prato e i suoi volti” è il corso di giornalismo organizzato da Officina Giovani e tenuto dalla nostra Stella Spinelli a partire da ottobre 2014. Si tratta di una serie di inchieste su specifici problemi della città. Tre delle band intervistate qui – Haze, KennyMuoreSempre e Tutte le cose inutili – si esibiranno domani giovedì 2 aprile, dalle 21 a Officina Giovani, dove alle 19 si terrà l’evento finale del corso. Ingresso e aperitivo gratuiti.
di Ilenia Vecchio
Recentemente tra le pagine di Pratosfera, in occasione del Neuf, è stata affrontata la “scomoda” questione degli orari di inizio dei concerti in città.
Anche le band locali hanno deciso di intervenire sull’argomento, facendo confronti con quanto invece avviene nei paesi stranieri.
“All’estero si suona prima, alle 20/21.30 massimo, a un’ora in cui alle 23 hai già messo tutto a posto. Questo incrementa la qualità del concerto, perché c’è più attenzione e meno stanchezza generale” precisa Alessandro Gambassi dei Topsy the Great e batterista dei Solki. “Qui in Italia – invece – s’inizia a un’ora in cui non ti ascoltano più”.
Anche Alessio Ciborio Gioffredi della Band del Brasiliano è dello stesso parere: “All’estero la musica dal vivo è l’attrazione principale, motivo per cui in Francia e Inghilterra, in Svizzera, in Olanda, i concerti non iniziano a mezzanotte e mezza, ma alle 20.30, alle 21.00 e se vuoi andare a sentire un gruppo suonare, ci vai da sobrio, lo ascolti e di conseguenza arrivi ad avere un giudizio più critico e più obiettivo”.
È pur vero che si tratta anche di una questione di “cultura e realtà diverse”, come detto dai Tanks and Tears: “All’estero la gente è fuori anche prima! Ad esempio nella serata inglese andare a sentire un gruppo va per la maggiore. Uscire a Prato è invece stare con gli amici a bere in un pub..Se vai a ballare ok”.
Ma qual è la ragione di questa moda?
Prova a farne un’analisi Alessandro Gambassi, partendo dalla sua personale esperienza al Capanno (avendo contribuito agli inizi di quello che ora è il noto BlackOut): “A Prato c’è la maledetta abitudine di non arrivare prima delle 23,30, che vuol dire stare prima a un pub. Dunque tu chiami ad esempio un gruppo che fa 400 km e non puoi farlo suonare davanti a 4 persone! E questo avviene in tutta Italia, con qualche eccezione. I locali, avendo questa politica, non possono far suonare più di due gruppi, perché se i primi due hanno a disposizione per suonare ciascuno mezz’ora e il terzo un’ora, sei costretto a far partire il primo alle 23,30 e a farlo suonare davanti a poca gente! Facendo suonare meno gruppi, si creano meno occasioni, creando meno occasioni la cosa diventa più elitaria. La colpa (anche la mia) con il Capanno è stata di incentivarla questa cosa, insieme alla politica del dj-set per necessità di cassa. I gruppi suonano a un quarto all’una e davanti a gente ubriaca. S’è stravolto tutto! Il Capanno ora ha cambiato destinazione ed è percepita come una discoteca e la musica un contorno”. E in effetti alcuni giovani intervistati ammettono: “La gente anni fa andava al Capanno perché c’erano i concerti ganzi. Ora il sabato sera è andare al Capanno perché vanno tutti lì, piglia bene, ci sono le fighe e si beve!”.
Per Serena Altavilla, cantante dei Solki e della Band del Brasiliano: “È la mentalità becera del pratese! C’è stata diseducazione! Perché se invece un gruppo tira c’è gente che viene dalle 22.30!”.
Cosa potrebbe portare quindi ad una svolta?
Luca Landi dei Go!Zilla propone questa soluzione: “Mi piacerebbe avere a Prato un locale di medie dimensioni (100 posti massimo) stile bar, con un buon impianto dove poter organizzare concerti DIY e soprattutto riuscire a fare qualcosa nell’infrasettimanale. Troppo facile suonare solo il venerdì e il sabato… se la gente riuscisse a capire che non si può organizzare concerti e farli iniziare alle 2 di notte forse la situazione migliorerebbe. Avessi un concerto ogni sera che so, alle 20, sarei pronto a pagare ingressi e acquistare dischi e… a vivere meglio. La Germania, l’Inghilterra, la Spagna, ogni nazione ha pregi e difetti a livello organizzativo e di gestione dei contatti, ma ha anche un comune denominatore, ovvero la massiva presenza di promoter giovani che si sbattono per far sì che ai live ci siano un sacco di under 30 interessati alla musica dal vivo”.
Tra i vari noti club pratesi, molte band hanno lodato il lavoro svolto quest’anno dal Controsenso, che purtroppo ha recentemente annunciato l’imminente chiusura, sulla sua pagina facebook.
“Il Controsenso è il locale che propone più musica di qualità. È un posto dove viene data a tutti una possibilità! Sta lavorando bene. C’è un’ottima programmazione settimanale con la domenica dedicata a un gruppo e in quel giorno viene data importanza a quel gruppo che inizia a suonare alle 23 e questo non è affatto male! Per tutti! C’è gente che arriva anche da Firenze e provincia”, dichiarano Luca, Alessandro e Serena. “Il ragazzo che arriva dopo – come tiene a sottolineare Serena – è stato prima al pub e vien lì solo per far serata. Non ha senso aspettare quel tipo di pubblico!”
Un’altra questione emersa, forse collegata a questa “moda” è infatti proprio quella del pubblico.
I giovanissimi Haze si lanciano in una vera e propria lucida critica nei confronti dei loro coetanei: “Soprattutto tra i più giovani è evidente il disinteresse e la mancanza di curiosità per la musica in generale e in particolare nei confronti della musica live. C’è poca cultura, a casa e a scuola, dove spesso la musica non riguarda nemmeno il programma scolastico! Manca il concetto di arte e la musica viene percepita come un dettaglio di sottofondo che può esserci o non esserci, un’aggiunta a qualcos’altro, a una serata, non l’elemento fondante della serata! E questo è brutto perché la musica è un qualcosa di condivisibile da tutti e a qualsiasi età”. Amaramente riscontrano: “O noi o un cd è la stessa cosa”.
Ciò che salta agli occhi è soprattutto il disinteresse verso nuovi talenti e suoni, a differenza di quanto avviene per i coetanei europei dove è all’ordine del giorno uscire e andare a sentire suonare una band.
“Va bene che all’estero essere italiano suona esotico e dalla Serbia alla Spagna si trova un calore gigante e tanto interesse per la musica italiana, però la differenza di pubblico c’è. Il pubblico straniero è voglioso, vanno ai concerti, hanno stima per la musica e voglia di partecipare. Se ne percepisce chiaramente il trasporto”, confessa Serena. Questo è un problema importante per le band perché come dicono i KennyMuoreSempre: “Il pubblico ci vuole e spesso manca un ritorno”.
Quali sono le cause?
Secondo il parere di molte band, uno dei motivi principali è da addurre alla mancanza di background, in particolare nella fascia teen, e alla mancanza di un’educazione musicale a casa e nelle scuole. Come notato da Tommaso Rosati dei Ruprekt: “Si tratta di un discorso di mentalità e istruzione. Il gusto è un altro discorso, solo dopo che so che una cosa esiste posso iniziare a fare e ad ascoltare”. Walter dei Fantastic Bra che frequenta il Buzzi ammette: “La base culturale un pochino più sviluppata conta, penso soprattutto alla gente che fa il liceo. La scuola dove vado io, è brutto dirlo, però alla fine è gente che in generale non gliene frega tanto di qualsiasi cosa riguardi più o meno l’arte”.
Sulla mancanza di background tra i giovanissimi in un confronto ideale con la sua generazione si pronuncia Alessandro Gambassi: “Prima noi compravamo anche un solo cd, ma lo ascoltavamo tutto. Ora con internet ti fermi al minuto e quaranta. Però è vero anche che questi ragazzi hanno un’infarinatura di tutto, anche per un pezzo di ognuno. Quello che manca è una cultura storiografica e il necessario percorso della musica, ma un giovane interessato può sempre farlo! Resta comunque il fatto che i giovanissimi d’oggi hanno a disposizione di tutto anche se ascoltare o conoscere un pezzo solo di un gruppo è limitativo”.
Interessante il punto di vista di Giulio dei Wonder En Is Gheen Wonder: “Internet è positivo, ha un aspetto positivo per il musicista dal punto di vista dell’ascolto, perché dà la possibilità di una grande fruizione musicale no?!basta pensare a youtube o a soundcloud per l’underground. Quindi a mio avviso è proprio per questo che ci sono molti gruppi e la gente è invogliata ad ascoltare e a fare musica dando vita a un sorta di sintesi, perché quando ascolti musica e sei musicista metabolizzi quello che ascolti e lo riproduci con un timbro tuo, lo ritiri fuori. Il problema maggiore è quindi più a livello culturale in generale che generazionale. Se uno guarda alla storia della musica, negli anni ’50, c’erano gruppi che andavano a suonare e gente che ballava! Cioè la gente era abituata ad ascoltare la musica in maniera più istintiva, andava a sentire un concerto swing e ballava, rock and roll e ballava, adesso quando vanno a sentire un gruppo non vedi nessuno che si muove. Tendenzialmente c’è un atteggiamento di percepire la musica, anche dal punto di vista del gruppo che suona, come una cosa prettamente uditiva, anche di testa, molto concettuale. C’è molto il culto dell’immagine, dell’esecuzione. Ma un lato importante della musica è proprio questo: la musica serve a questo scopo! È colpa della pretesa intellettuale, eppure ci sarebbero tanti tipi di musica ballabile con gli strumenti, invece del dj-set, basti pensare alla sola musica punk!”.
Altra questione è la tipologia di pubblico costituita principalmente da amici o altri musicisti.
Come dice Giulio: “Spesso si fa musica e si suona per i musicisti. Il musicista è interessato a scoprire nuovi gruppi su internet e succede che, se il gruppo passa vicino a lui, ci va a vederlo. La gente è più passiva. C’è poca curiosità”.
Lorenzo dei Fantastic Bra, anche in base alla sua esperienza di rappresentante d’istituto al Livi, afferma: “Tra i giovani c’è una passività frustrante. Se non si sa cosa propone la serata solitamente prevale la fatica. Poi molto è legato anche a trovare i ragazzi con cui andare, è difficile trovare delle figure eremitiche che vanno a sentire i concerti da soli”.
A detta però di diversi artisti, la situazione appare diversa nel sud d’Italia, dove il pubblico si mostra ai concerti molto più “caloroso”. Leo di Tutte Le Cose Inutili, dà questa spiegazione: “Questo lì accade perché mentre qui c’è anche troppa scelta, lì non si organizzano molti concerti e quei pochi che si fanno diventano un vero e proprio evento e i giovani si spostano per andare nel paesino o nella città dove ciò avviene. Questo perché, come spesso accade, chi non ha niente si sbatte di più. Una situazione critica solitamente porta la gente a dare di più”.
Un’altra delle colpe principali è per gli Haze: “La moda delle discoteche che ha portato ad un appiattimento di emotività nei confronti della musica suonata (quella vera). I nostri coetanei sono ormai abituati ad ascoltare generi di sottofondo come la house o la techno”.
Questa moda della musica “da intrattenimento” con la conseguente preferenza per le discoteche e il “momento” dj-set comporta anche un altro tipo di fenomeno: la predilezione per le serate tribute e le cover-band.
La critica a questo “genere” è forte da parte dei gruppi: “Già non ci sono tanti posti per suonare, in più si sente sempre la solita roba trita e ritrita o le cover-band”, denunciano i Warcore.
Giulio incalza: “Ci sono dei posti dove purtroppo viene data la precedenza ad attività che non sono artistiche e sono cose che mi stanno un po’ antipatiche!Al Keller ad esempio suonavano solo cover-band, all’Exenzia suonano solo cover-band”.
Ma perché tutto questo successo e interesse di pubblico?
“Son serate soprattutto per gli ascoltatori passivi, che sono la maggioranza”. Si tratta quindi di serate amate perché la gente può tranquillamente cantare le canzoni note dei propri beniamini, con un appiattimento però all’ascolto delle novità.
Tommaso Rosati mette in chiaro: “Diciamo che si tratta di un problema più italiano in generale. In altri paesi è più normale andare a sentire persone che hanno da dire qualcosa di nuovo, qui siamo più conservatori e siamo per qualcosa di più sicuro. Da qui l’estremo della cover-band perché conosci i pezzi e alla gente piace risentire i pezzi classici”.
Proprio per questo motivo, come notano i Tanks and Tears: “Più gruppi hanno e portano avanti un doppio progetto: il loro personale e la cover-band e il più delle volte sono pagati di più per la tribute”.
Da qui la forte critica nei confronti delle cover-band, viste come: “Una limitazione e freno al tuo istinto creativo come musicista”, secondo il parere degli Haze che pur ammettono: “Noi partiamo come cover-band per introdurre il nostro progetto di band. Agli inizi ascoltavamo i Nirvana e cercavamo di suonare come loro e le prime cover erano loro, poi col tempo abbiamo iniziato ad ascoltare altra musica e iniziato a scrivere pezzi nostri e ad oggi siamo a tutti gli effetti una original band, perché abbiamo fatto un Ep, un Lp e suoniamo pezzi nostri. Noi nelle nostre serate proponiamo in genere una cover e poi pezzi nostri”.
Giulio incalza contro chi fa solo cover: “Io non ritengo siano artisti. L’imitazione non è arte! Fare una cover ha un senso! Anche noi si fa in una scaletta. Ma essere una cover-band non ce l’ha!”. Come confessano gli Haze: “Diciamo che fare una cover può aiutare, perché ovviamente se a una serata suona una cover-band, il pubblico conosce i pezzi, può cantarli. Quindi si tratta anche di un problema di pubblico! Si torna alla questione di un pubblico che non è curioso e interessato ai nuovi suoni e ai nuovi talenti”.