A sentire le associazioni pratesi, quelle che si occupano principalmente di arte, pare che ciò che occorre di più sia fare rete; la prima reazione potrebbe essere quella di suggerire di alzare il telefono e chiamarsi a vicenda, ma sarebbe una reazione basata sull’ignoranza: a Prato le associazioni di questo tipo sono un numero che si avvicina più al fottilione che a un numero effettivamente quantificabile, ognuna con le sue peculiarità, il suo talento, il suo spazio e i suoi obiettivi: creare una rete stabile con un referente comune, che potrebbe proprio essere il museo d’arte moderna della città (e della Toscana) sembra una buona soluzione.
L’obiettivo che le unisce al museo Pecci è valorizzare il distretto artistico di Prato e della Toscana, un obiettivo che pare essere comune: “Il museo Pecci potrebbe dare spazio alle associazioni che lavorano sul territorio, a contatto coi cittadini – ha suggerito Fabio Razzi di Industrie contemporanee dell’arte – creando incontri non solo al museo, ma anche nelle nostre sedi e creando un tavolo tecnico cui partecipare tutti per organizzare e pianificare la cultura in città.” Il dialogo, in ogni caso, serve alla pari: “A volte ci siamo trovati coinvolti ma poi mancavano le risorse – ha aggiunto Pamela Gori di Corte 17 – continuiamo con questi incontri. Qui in via Genova lavoriamo insieme da tempo, con tutte le associazioni della corte, sappiamo che funziona: possiamo farlo ancora più in grande, se ci sono le possibilità concrete per farlo. Quando lavoriamo per il Contemporanea festival gli artisti ci chiedono un rimborso per pagare materiali e forniture, se ci presentiamo come spazio indipendente collaboriamo senza che questo problema si ponga: questo crea difficoltà, e serve un supporto di qualsiasi tipo, ma non solo tecnico”. Il problema dei finanziamenti è comune a tutti, ha spiegato Fabio Cavallucci, direttore del museo Pecci: “Probabilmente ci troveremo a riaprire con meno fondi di quelli che il Pecci aveva quando ha aperto, anche se l’amministrazione pratese aiuta: è raro trovarne di così ben disposte verso la cultura. Faremo quello che possiamo fare.”
Il tema di Contemporanea è toccato anche da Luca Gambacorti di Lato, che lancia l’idea di un festival “Contemporanea” per l’arte, sul modello di quello che esiste già in città, e dal direttore Cavallucci, che indica proprio le date del festival, a fine settembre, come possibili date in cui proporre un primo lavoro corale: “Il museo Pecci ha da tempo l’idea di fare un Festival Dell’Arte Italiana a Prato – ha spiegato – coinvolgendo artisti giovani e del territorio, facendo anche una necessaria selezione. Potrebbe essere occasione di una prima presentazione pubblica del lavoro comune che possiamo fare. La data seguente potrebbe essere la riapertura del Pecci, a primavera 2016”.
Il Pecci, infatti, riaprirà completamente solo a primavera prossima a causa di un ritardo burocratico nell’assegnazione dei finanziamenti europei che occorrono per completare la ristrutturazione degli spazi: “Ma non siamo fermi – ha continuato Cavallucci – già da fine aprile inizierà un ciclo di mostre a Officina Giovani, con artisti under 35 che vengono dalla Toscana. Un lavoro di gruppo con le associazioni sarebbe molto utile per avere il polso della situazione dell’arte Toscana: nell’indipendente si trovano moltissime innovazioni, e si capisce la direzione che prende l’arte”. Un altro punto sottolineato da Cavallucci riguarda il Cid, la biblioteca del centro per l’arte contemporanea: “Una delle cose che vogliamo realizzare per il Cid, che riaprirà del tutto il 31 marzo, è una sezione dedicata all’arte toscana: non solo a quella emergente o a quella ormai affermata, parto di tutta l’arte toscana”. Occhio, non è un progetto campato in aria: i fondi europei sono già stati stanziati: “Sarà un lavoro lungo, dobbiamo schedare il materiale che già esiste e crearne di nuovo, ma è un obiettivo già concretamente fissato. C’è anche una web tv in cantiere“.
L’ultimo invito che viene rivolto al Pecci, da più di un’associazione, è quello di diventare la memoria storica e l’archivio dell’arte della zona: chi meglio di un museo?