Tutti gli anni in questo periodo arrivano gli Stati Generali della Commedia Italiana. Ovvero una settimana in cui casualmente escono quattro commedie italiane in grado di darci un panorama completo del cinema italiano contemporaneo. Questa è la settimana degli Stati generali della Commedia Italiana 2015.
1) La neo-commedia cattiva
LA SOLITA COMMEDIA – INFERNO è il terzo film dei Soliti Idioti Biggio e Mandelli. Come per Zalone il loro terzo film è più strutturato e maturo – cosa non sarebbe più strutturato di una sequela di “Dai cazzo” e scorregge assortite, viene da chiedersi? I due scomodano, per giustificare, anche culturalmente, la struttura a sketch qualcosa di grosso, molto grosso, La Divina Commedia, sottraendola momentaneamente all’ipoteca di Benigni. Puntano il dito contro i nuovi peccatori, tra dipendenti dai selfie e mostri vari (nel senso di Risi sì, come ribadiscono i due ad ogni intervista per nobilitare agli occhi di mediocri cronisti la loro totale mediocrità attoriale e autoriale). Limitano le asperità, specie anticlericali (c’è Tea Falco con la barba che fa Gesù come la Morrisette nel peggior Kevin Smith), con accortezza neodemocristiana.
Eppure come successo per Zalone, forse per la paura di eccessivo snobismo verso i successi popolari, la critica snob comincia a rivalutare il fenomeno. E così se per il Checcone nazionale si era sbilanciato Sordi e qualche penna particolarmente snob ha avuto il coraggio di gridare al capolavoro per l’ultimo di Silvio Muccino, siamo costretti ora a leggere sulle pagine di Repubblica Giona Nazzaro – non propriamente l’ultimo degli stronzi – che definisce “geniali” gli sketch dei due e scomoda i Monty Python – sì, fatelo sapere a Gilliam, che è a Lucca in questi giorni.
Segnali dal cielo arrivano tramite eclissi di sole, da parte del dio del cinema che piange – o forse è Monicelli che bestemmia. E noi poveri mortali di fronte a questi sketch TELEVISIVI mediamente deprimenti e scontatissimi, siamo costretti a rubare le parole di Flaiano per combattere questa costante, perniciosissima rivalutazione della Mmmerda: “Se ammetterai che la merda in fondo non è cattiva, dovrai mangiarne due volte al giorno”.
2) La vetero-commedia paternalista
Indirizzata ai padri e alle madri LA PRIMA VOLTA DI MIA FIGLIA segna l’esordio dietro la macchina da presa di Riccardo Rossi (professione: personaggio televisivo). E’ esempio patetico e mediamente imbarazzante – come il suo autore – di un cinema paternalista, egocentrico fino all’autismo, completamente incapace non diciamo di farsi cinema, che sarebbe troppo, ma almeno di raccontare, “dipingere” altro rispetto a sé – si vedano i dialoghi fintissimi messi in bocca agli adolescenti. Ed è un triste sollievo che la pellicola nei cinema non esista più, che almeno non si deve imprimere su 35 mm questa sbobba televisiva da pomeriggi estivi di Raiuno.
3) La commedia “al femminile”
Imbarazzante esempio di cinefilia mortuaria – e non per la presenza post mortem della splendida Virna Lisi, ma per il rapporto parrocchiale, provinciale e post-tornatoriano con il metafilmico LATIN LOVER della Comencini. Una sorta di barbosissima fiction, con cast femminile all star sprecatissimo. La via femminile, molto vagamente almodovariana alla commedia corretta, borghese di area PD.
4) La commedia ggiovane
Stessa area, ma nei territori sicuri di Virzì e Muccino, per il nuovo film di Roan Johnson, promettente regista pisano già autore del piacevole, frizzante I Primi della Lista. FINO A QUI TUTTO BENE è coraggioso da un punto di vista produttivo perché autoprodotto e cofinanziato da attori e troupe, molto meno coraggioso, anche rispetto all’esordio, sul piano dei contenuti – generazionale nella sua accezione più banalmente ruffiana e autoindulgente, con questi universitari di un realismo più post-televisivo che cassavetessiano (sì qualcuno ha scomodato Cassavetes) – e della forma – davvero al risparmio sul piano della traduzione in cinema del vissuto, sembra un Ferrario anni ‘90.
Titolo nero su sfondo giallo su locandina, come Smetto quando voglio, contro lo strapotere dei titoli rossi su sfondo bianco della commedia per i matusa. Certo tra i quattro, la scelta è obbligata.
Non amiamo particolarmente Ozon, ma il melodramma transgender hitccockiano UNA NUOVA AMICA è tra le sue cose migliori. E’ cinema sempre un po’ imbalsamato nell’offrire scappatoie sociologiche a quello che succede sullo schermo. Ma almeno è cinema.