A presentare la sua “Vocazione”, venerdì 20 e sabato 21 marzo al Teatro Fabbricone alle ore 21 arriva una delle figure più carismatiche del teatro contemporaneo italiano, Danio Manfredini, autore-attore formatosi negli anni ’70, fautore di una ricerca teatrale condotta fuori da ogni percorso codificato e svolta nell’ambito dei centri sociali autogestiti milanesi e nelle strutture psichiatriche, direttore dell’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini per il triennio 2013/2016, insignito di un Premio Speciale Ubu 2013 e del Premio Lo Straniero 2013 come «maestro di tanti pur restando pervicacemente ai margini dei grandi circuiti e refrattario alle tentazioni del successo mediatico».
Con “Vocazione” Manfredini traccia un quadro sulla figura dell’attore teatrale, racconta i vari stadi che attraversa e che lo conducono alla creazione, rende conto di come si contaminano i piani della vita con quelli dell’arte e viceversa: si tratta di uno spettacolo-confessione sulla fatica del far teatro, sul terribile confronto quotidiano dell’attore con le proprie debolezze e coi propri fantasmi interiori.
A partire dal repertorio teatrale in cui autori come Cechov, Shakespeare, Mariangela Gualtieri, Testori e Bernhard trattano esplicitamente la condizione dell’attore teatrale, Manfredini, affiancato in scena da Vincenzo Del Prete, compie un viaggio all’interno delle paure, dei desideri e delle consapevolezze legati alla pratica del mestiere di artista, parla di talento, di ricerca infinita, di sacrificio, e pone domande sul ruolo e la necessità dell’artista, sulla sua paura del fallimento, della follia, sul desiderio di evasione, fa domande sulla propria motivazione, sulla vocazione.
Con “Vocazione” “Mi apro a un percorso di lavoro teatrale che verte sul tema dell’attore di teatro e della sua vita- afferma Manfredini – . Metto a fuoco questo soggetto in un momento in cui sembra inutile, non necessario, occuparsi di teatro, di arte e di conseguenza dell’attore- autore-regista teatrale, figura che sembra in disuso. Pur accogliendo i progressi della tecnologia e il potenziale che offrono all’arte, ritengo centrale la figura dell’artista nella sua essenza umana scarna. Come il semplice che sta in una frase, in un canto, nella danza va a stagliarsi con il suo senso proprio dove tutto sembra morire. Fosse anche, come si dice, che il teatro è destinato a sparire, ci tocca dare luce al tramonto. Sarebbe comunque un privilegio, glorificare il momento del tramonto, così vicino al buio”.