Simone Cinelli, regista e videomaker, è arrivato a Volgograd (Stalingrado) lo scorso febbraio per portare in scena “Via Stalingrad” (testo e regia originali di Christophe Piret) insieme alla compagnia francese Théâtre de Chambre 232U con la quale collabora da tempo. Nel teatro Molodyezhnyj, a tre settimane di preparazione sono poi seguite dodici repliche da tutto esaurito. Ma questa non è la cronaca del successo di uno spettacolo teatrale quanto piuttosto di quello che c’è stato tutto intorno.
Sono le impressioni russe di un videomaker italiano, che dicono anche come l’arte serva all’uomo per comprendersi e comprendere meglio quello che lo circonda, e che per questo vada difesa a oltranza.
Innanzitutto l’impatto con una città famosissima ma che di fatto, spiega Cinelli, “è isolata dal resto del mondo: settanta chilometri di palazzi grigi lungo il Volga, temperature sotto zero fuori e caldo africano dentro gli edifici, nessuno o quasi che parli inglese o francese”. Poi ci sono loro, appunto, i russi. “Non è stato facile lavorare con una troupe russa, e non solo per una questione linguistica. Da una parte ci sono state difficoltà tecniche legate all’allestimento perché lo spettacolo prevede anche proiezioni video, musica dal vivo e altre cose, e dall’altra c’è il famoso quarto d’ora di silenzio dei russi. Che prima di provare a conoscerti passano un certo tempo a squadrarti, o almeno così è successo a noi, per poi aprirsi completamente dimostrandoti un calore umano davvero eccezionale.”.
E poi arriva il teatro e il potere catartico delle storie. Cinelli la racconta così: “Abbiamo portato a Volgograd una storia che parla degli intrecci del destino, di persone che si incontrano e poi si lasciano, di uomini e di donne che abbandonano la propria terra e che ci ritornano. Lo spettacolo è recitato da attori russi, di Volgograd, e stare insieme un mese ha finito per cambiarci tutti. Da una parte, la storia li ha sconvolti perché per loro è inconcepibile l’idea di lasciare il proprio paese – aggiunge – dall’altra ho poi ho scoperto che loro stessi erano portatori di storie straordinarie. Igor (Mishin ndr) per esempio, il protagonista, è un attore noto in Russia, ma è arrivato al teatro dopo essere nato e cresciuto in un gulag. Insomma, nonostante tutte le differenze ci siamo riconosciuti e abbiamo riconosciuto che progetti come questi sono importanti sia da un punto di vista umano che politico. In un momento in cui nel mondo si alzano i muri, fare uno spettacolo così significa andare contro la geopolitica. Viene riabilitato il tuo retaggio culturale europeo – conclude – mentre di fronte a te scopri persone che grazie al confronto con “stranieri” relativizzano tutto della propria cultura”.
Mentre Cinelli era a Volgograd, in Russia si è celebrato il 72° anniversario della battaglia di Stalingrado. Insieme agli altri membri della compagnia ospite, il videomaker pratese ha fatto parte della delegazione straniera. “E’ stata una cosa a sorpresa e per questo forse ancora più incredibile – racconta – a Volgograd, oltre a opere monumentali che ricordano il sacrificio di un’intera città, c’è un museo straordinario che racconta tutta la storia dell’invasione nazista in Russia: come un virus l’armata nazista si propaga in Russia e si scontra con Stalingrado, la città che ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale. E’ un museo che non può non essere visto”.
Tornato a casa, la realtà italiana gli è arrivata addosso tutta insieme. “La prima persona con cui mi sono fermato a parlare una volta ritornato a Firenze mi ha domandato cosa ci fossi andato a fare a Volgograd – racconta – io ho risposto che ero andato a fare l’artista, i video e le luci per una coproduzione teatrale franco-russa. Quello mi ha risposto: “Sì, ok, ma non mi avevi detto che ci eri andato per lavoro?”. Commenti all’italiana, già sentiti mille volte. Ma dopo aver lavorato per un mese sedici ore al giorno assieme a colleghi (russi) pagati l’equivalente di 350€ al mese, e averlo fatto con un entusiasmo, una passione e una professionalità encomiabile, avrei volentieri mandato a quel paese il signore incontrato sulla tramvia”.
Cinelli sostiene che questa è l’Italia e “l’enorme buco nero amministrativo che lo Stato Italiano non ha mai sanato nei confronti di coloro che lavorano nel mondo dell’arte.
“In Russia – continua – il lavoro degli artisti e degli operatori dello spettacolo non si può certo definire proficuo economicamente ma non è un lavoro meno sicuro di altri. Per esempio, il teatro Molodyezhnyj è composto da una compagnia stabile in cui lavorano tutti i giorni regolarmente una quindicina di attori più un’altra decina di persone tra tecnici e amministrazioni. Stiamo parlando – aggiunge – di un teatro delle dimensioni del Fabbrichino, tanto per dare un riferimento pratese. In Francia (dove spesso lavoro) e in buona parte del resto d’Europa, esistono statuti sociali e fiscali particolari legati alla figura dell’artista, che non solo ne riconoscono la professionalità, ma che lo tutelano con indennità adeguate allo stato precario in cui normalmente operano. In Italia no”.
Di ritorno dalla vecchia Stalingrado, ha così maturato la convinzione che ci sia un’unica cosa da fare, “Riuscire a portare le esperienze e i processi culturali sviluppati in Francia (e adesso anche in Russia) negli ultimi 8 anni e lanciare un nuovo concetto di azione culturale – dice – Perché quella degli operatori culturali è una vera battaglia di resistenza, proprio come quella che la gente di Stalingrado sopportò 72 anni fa. E io ho intenzione di combatterla fino in fondo”.