Un mercoledì sera dell’inverno pratese, l’indomani si lavora. Divani infiniti sui quali sdraiarsi e da cui fissare uno schermo dove scorrono a nastro episodi di serie tv rippate. Una coperta, due cuori, il caminetto acceso, il golden retriever con l’eritema beatamente accucciato, un sorso di Courvoisier. L’allerta meteo tiene in scacco mezza Italia, fuori la temperatura è sottozero e piove. Nevicherà? Il panorama buio è silenzioso, neppure uno schiamazzo, e anche di Loro, I Ragazzi Dello Zoo Del Serraglio, nessuna traccia. Sono le undici e mezza, quindi, converrete con me, la cosa più logica da fare è uscire ed andare al concerto dei Ruggine al Capanno Blackout.
Uscendo riesco ad apprezzare tutto il comfort che solo l’inverno sa regalare, prendendomi in faccia tutti quei pixel semicongelati che svolazzano in crisi d’identità fra pioggia e neve. Traffico azzerato e sono subito sul posto. Uno dei barman mi vede e nasconde immediatamente la nuova bottiglia di tequila, almeno così mi sembra di aver intuito con la coda dell’occhio. Come dargli torto? Diversi amici dell’ambiente post rock e hardcore sono già lì ad attendere i Ruggine, band dal nome talmente punk da non aver niente a che fare col punk, così cuneese da non essere un cioccolatino al rum, talmente interessante da non essere trascurabile. I Ruggine sono un gruppo attivo già dal 2001, ma sulla scena nazionale dal 2008, presente stasera qui a Prato per presentare al pubblico locale il nuovo album ‘Iceberg’, un concentrato dello stile sofisticato della band, fra math rock, influenze hc della scena italiana anni ’90, post rock e noise.
Il tempo passa fra le chiacchiere; ho indosso le scarpe da skate perché ho solo scarpe da skate, quindi mi si stanno lentamente ghiacciando le dita dei piedi. Poi arriva giovedì, i Ruggine infatti attaccano a suonare poco dopo la mezzanotte, cominciando con la potente ‘Babel’, mentre un faro dal palco mi acceca ad ogni rotazione ogni cinque secondi. I due bassi regalano una rotondità di sound fra il giottesco e lo Scarlett Johansson, precisa e sexy, lacerata dalla chitarra del cantante Simone Rossi, tagliente come il Miracle Blade dello Chef Tony che affetta in aria gli ananas volanti. Le ritmiche si fanno ipnotiche, il pubblico è rapito ed i pantaloni della tuta Asics di uno dei bassisti è una garanzia anti-hipster. Le mie dita dei piedi saranno ormai di colore Reinhold Messner. Le agguerrite e struggenti liriche in italiano, fra il parlato e lo screaming, raccontano dinamiche esistenziali in mezzo ad arpeggi continui e soprattutto ad un uso del basso veramente originale. La qualità e l’energia non mancano affatto; mi sposto per evitare la luce, ma in ogni dove mi trapana il cervello, comunque non importa perché i Ruggine mi stanno regalando momenti intensi, fino al culmine, quando il cantante estrae il suo accendino Clipper giallo del 2015 utilizzandolo sulla chitarra come slide, facendomi davvero felice. Dopo tre quarti d’ora, poco prima di salutare per sempre i miei piedi, il concerto volge al termine con la finale ‘Estrazione Matematica Di Cellule’, canzone che dà il titolo al precedente album della band. I Ruggine salutano I presenti dichiarandoli apertamente eroi di questo mercoledì sera, così infrasettimanale e ghiacciato. Grazie davvero.
Torno a casa felicissimo di aver fatto troppo tardi, di essermi congelato i piedi e di aver perso altre diottrie a causa dei faretti. Questo può solo significare che i Ruggine non hanno affatto tradito le mie aspettative, ma anzi si sono fatti ancor più apprezzare, peccato solo che l’affluenza non abbia rispecchiato in pieno il merito della band piemontese. Quindi se avete pensato di fare i furbetti e starvene a casa sotto al piumone avete sbagliato di grosso, perché vi siete persi una parentesi di grande intensità a poca distanza da casa vostra. Farete bene a far fruttare la disoccupazione cronica o la nullafacenza universitaria che vi attanaglia, che in giro ci sono concerti di qualità, e pure gratis.