La prima volta che Giorgio Canali mise piede a Officina Giovani finì appeso ad uno dei ganci del macello e se la vide davvero brutta. E visto che stasera Giorgio Canali ad Officina Giovani ci ritorna per un concerto con i Rossofuoco – e non è nemmeno la prima volta – vado a ripescare nella memoria proprio quella storiella di sedici anni fa o giù di lì.
L’anno era il 1998. Canali, reduce dai CSI di Tabula Rasa Elettrificata, decide di mettersi in proprio. Un disco d’esordio a nome Giorgio Canali?. Con il punto interrogativo in fondo. E aveva uno sticker sopra che recitava “il primo album solista del chitarrista dei CSI?”, ancora col punto interrogativo. Un disco assolutamente di frontiera: all’epoca Canali pensava metà in italiano e metà in francese, componeva forse più in francese che in italiano e si esprimeva smadonnando bilingue. Non so se lo fa ancora. Fatto sta che il primo disco, dal titolo “Che fine ha fatto Lazlotoz” (senza punto interrogativo, questa era un’affermazione) conteneva sei canzoni in italico idioma e sei canzoni in francese. Quelle più forti, musicalmente ma anche linguisticamente, erano quelle in francese. Il disco uscì anche in Francia con il titolo “1000 Vietnam”. Senza punto interrogativo, quello era un vezzo solo italiano.
Come si usava allora, uno dei canali fondamentali ed irrinunciabili della promozione era girare un videoclip. I mezzi dei CPI erano quelli che erano: i budget risicati, l’importante era un’idea vincente che si potesse realizzare con pochi mezzi e poche lire. Per il disco d’esordio di Giorgio il pezzo scelto era “Coule La Vie”, pezzo fortissimo ed intraducibile (nei credits del disco, che conteneva le traduzioni in italiano degli altri pezzi in francese, per quello c’era la frase “per la traduzione arrangiatevi, io non so da che parte rifarmi”) ma di difficile spinta mediatica, qui da noi. Poco importa, il pezzo c’era, non eravamo mica lì a vender saponette. E poi, così, abbiamo un clip che funziona sia in Italia che in Francia.
Non ricordo di chi fosse l’idea. Forse di Giorgio, o di Mariano De Tassis (quello che nelle Notti di Maciste urlò ininterrottamente per due minuti alle tre di notte, e che all’epoca era anche il batterista di Canali), ma il videoclip di Giorgio aveva più o meno questo storyboard: un uomo d’affari seduto dietro una scrivania che parla a telefono, trattando chissà quali loschi affari. Un giovincello rosso di capelli che ogni tanto spuntava dalla scrivania. E accanto, Giorgio Canali che faceva il playback. Ma appeso per i piedi al soffitto. A testa in giù. La location scelta fu appunto l’area Ex-Macelli di Prato, proprio per quella ragione fondamentale: lì c’erano già i ganci a cui appendersi. Un risparmio di mezzi notevole.
Il regista, che mi sembra fosse Leonardo Conti, aveva una giornata di tempo per portare a casa il clip. Aveva progettato un’imbracatura perfetta: un sistema di cinghie che fasciavano il corpo di Giorgio e dovevano rendere la sua permanenza a capo all’ingiù la meno disagiata possibile, senza conseguenze future. Ogni due-tre minuti di girato Giorgio doveva essere sganciato per far defluire il sangue dal cervello e far ripartire una circolazione normale. Non fu così. Un po’ la fretta di girare, un po’ “vai che la prossima è perfetta”, un po’ “ripartiamo subito, che tanto Giorgio è una roccia”, insomma, Canali a fine giornata si sentì male e appeso a quel gancio perdette i sensi.
E poi, l’imbracatura: era perfetta, sì, ma per una postura normale, a testa in su, non rovesciata. Lì i pesi sono completamente invertiti. E poi Giorgio mica stava fermo appeso al gancio: no, si muoveva come un’anguilla, come un ossesso, il tutto per rendere più credibile il pezzo. Risultato: lividi su tutto il corpo, e difficoltà deambulatorie per più di un mese.
Di quel videoclip, che era stato girato in video interamente col filtro 8mm inserito “così sembra pellicola” (ma in realtà sembrava più sporco e basta) ne sono state perse le tracce. MTV lo rifiutò, TMC2 lo passò solo di notte (“il video è anche carino, ma la qualità… e poi c’è quello a testa in giù… non possiamo passarlo di giorno”). In rete non si trova. Nemmeno Canali ne possiede più una copia. Probabilmente l’unica copia ancora esistente si trova a Milano in un container, dove si trova sepolto tutto l’archivio di Videomusic. Come il Santo Graal. Giorgio Canali ne ricorda l’esperienza con una frase lapidaria: “Cazzo, sono mezzo morto per due passaggi tv”. Sarà per quello che non ha mai più girato un altro videoclip. Quanto al pezzo fortissimo e intraducibile, Giorgio l’ha tradotto in italiano anni dopo ed è diventato “Alèalè”. E in italiano è ancora più forte.