Questo mese di dicembre 2014 vede, a distanza di pochi giorni, esibirsi in varie location pratesi Giovanni Lindo Ferretti, Andrea Chimenti, Giorgio Canali, Ginevra Di Marco. E’ come se ci fosse una nuova edizione delle Notti del Maciste, hanno pensato in tanti. Il Maciste era l’house organ del Consorzio Produttori Indipendenti, che come quella struttura però non esiste più dallo scorso millennio. Però quello che successe in un Cencio’s club ancora nella sua massima espressione (il capannone di Via Strobino) in tre notti di diciotto anni fa qualcuno se lo ricorda ancora.
C’era una volta il Consorzio Produttori Indipendenti. Naturale propagazione discografica e produttiva di un altro Consorzio, quello dei Suonatori Indipendenti. Due sedi, una sui monti di Reggio Emilia, diretta da Ferretti e Zamboni, e una a Firenze nel sottoscala della Lazzi, regno di Gianni Maroccolo. Il CPI nel 96 era nel suo massimo splendore. Era una fucina di nuovi artisti e la creatività guizzava selvaggia. Negli uffici del Consorzio si cominciò a parlare di “festa” verso la fine di settembre 1996. Erano solo pochi giorni che occupavo la scrivania giustappunto accanto a quella di Gianni Maroccolo, mi ero appena laureato e avevo iniziato a lavorare come “addetto alla propaganda” dell’etichetta. Un lavoro in cui mi ero totalmente buttato anima e corpo, senza professionalità alcuna ma con un grande amore verso quelle persone e verso quella musica. Non ero ancora pagato per fare quel lavoro, ma non importava: avrei pagato io, per stare a contatto con loro. La passione e i vent’anni, si sa, giocano begli scherzi.
Tutto scaturì dalla testa, dalla caparbietà e dalla follia organizzativa di Gianni Maroccolo: solo un treno in corsa come il Maroccolo degli anni 90 avrebbe potuto convincere tutti quegli artisti, legati o meno alla scena del Consorzio, a venire ad esibirsi del tutto gratuitamente. L’idea di fare una festa ebbe una gestazione immediata, come quasi tutte le idee di Marok: appena gli venne, era già al lavoro a scrivere programmi, convocazioni, annunci, e a dare un senso a tutto ed a tutti. La convocazione a tutti gli artisti avvenne nel modo più “formale”: mediante lettera raccomandata (“Poi, Fabio, raccogli tutte le adesioni”). Una lettera in cui si comunicava che si sarebbe fatta una festa in un locale che potesse contenere un bel po’ di persone, che sarebbe durata due-tre giorni, e con la quale non si voleva dimostrare nulla a nessuno. Si trattava solamente di ritrovarci, di divertirci insieme, e magari (perché no?) di contarci. Non un festival a tema, né una dimostrazione di forza o di unità: una semplice e banale festa. D’altra parte, il Consorzio cominciava in quei giorni la sua “grande espansione”: coi progetti Matrilineare (un disco di ninne nanne cantate da tutte le voci femminili del nuovo rock italiano) e Taccuini (una collana di dischi economici nel prezzo ma dall’alto valore artistico, imitando le grande collane editoriali) appena iniziati, si sarebbe passati da tre-quattro dischi l’anno a quasi venti album l’anno. Non sapevamo che questo ci avrebbe portato al collasso. Non ancora.
La scelta del locale cadde sul Cencio’s di Prato per un paio di ragioni. Primo perchè l’unico locale della zona di Firenze capace di contenere fino a cinquemila persone in una sera; secondo, l’unico che si sarebbe impegnato, in un’occasione del genere, a mantenere l’ingresso gratuito per tutte e tre le serate (tessera associativa a parte, ovviamente. E inoltre, all’interno del locale fu montato un palco aggiuntivo, speculare rispetto al palco grande, in modo da poter assicurare una continuità di concerti dalle 22 alle 2,30 del mattino senza interruzioni tecniche di cambio-palco.
Una volta compilato il programma e stampati i volantini, lessi che in fondo c’era una frase che mi riguardava: VI ACCOGLIERA’ FABIO FANTINI. Chiesi a Gianni che cosa significasse quel “vi accoglierà”. “Semplice” – mi disse lui, con fare bonario e con retrogusto sarcastico – “dovrai fare gli onori di casa. Dovrai accogliere la gente e farla sentire a proprio agio. Dovrai annunciare gli eventi e soprattutto fare una specie di ufficio informazioni ambulante. Per questo, dovrai essere immediatamente riconoscibile”. Allora tirai fuori dalla naftalina una giacca in lamè dorato targata Edipo e Il Suo Complesso, che indossavo quando sognavo di fare la rockstar. Almeno riconoscibile, lo ero. Probabilmente anche un bel po’ ridicolo. Ma poco importa. Avrei potuto anche mettermi sui trampoli, se la situazione lo avesse richiesto.
Le Notti del Maciste edizione 1996 fu una tre giorni di incontri e concerti, film e dibattiti, rock e teatro, danza e arte contemporanea. Difficile sintetizzare in poche righe quattro mesi di lavoro e tre giorni di delirio, il 5 6 e 7 dicembre 1996. A distanza di quasi vent’anni, quello che è rimasto in memoria sono alcuni contrasti. Nella prima serata, ad esempio, quello tra il granitico Santo Niente che apre le danze in maniera potentissima e una Cristina Donà, da sola, chitarra e voce, perfetta sconosciuta all’epoca (il disco d’esordio sarebbe uscito solo qualche mese dopo) che ammalia e fa restare in silenzio tutto il Cencio’s. O i Marlene Kuntz in gran spolvero, ancora freschi del tour del Vile, il loro secondo album (ne ricordo una versione fragorosa di Festa Mesta). E poi Il Grande Omi, un gruppo che piaceva probabilmente solo a me (ma a me piaceva proprio tanto, e si sarebbero meritati di più), e i Soon. Già, i Soon. Uno di quei gruppi che all’epoca ebbe anche un discreto battage radiofonico, tutti giuravano che avrebbero fatto il botto, e ora non si ricorda più nessuno. Mah.
Marlene Kuntz – Festa Mesta
Della seconda serata, ricordo un Marco Parente che sorprese tutti quanti, con le sue due viole nella formazione e le sue canzoni a metà tra l’Alan Sorrenti degli anni 70 e i Radiohead. L’avventura di Marco è praticamente partita da lì, dal palcoscenico di Prato. Ricordo anche un inedito Andrea Chimenti presentare in anteprima anche alcuni brani dal “Qohelet” prossimo venturo, in compagnia di Fernando Maraghini. Ricordo la prima volta in assoluto degli estAsia proporsi in un set compatto, quasi come se fosse un brano unico: una formazione che in due anni macinò qualcosa come duecento concerti in giro per l’Italia per poi sparire nel nulla – ed è un vero peccato, perché la loro proposta era veramente interessante e la voce di Romina era unica.
L’ultima sera fu quella dei CSI. Il Consorzio Suonatori Indipendenti non era in scaletta, non ufficialmente. Erano nascosti sotto la sigla BAR, che stava per Buon Anno Ragazzi, quasi per creare della suspance (ci saranno? Non ci saranno? Ma sì che ci saranno, che senso avrebbe una festa del Consorzio senza i CSI). Ferretti e Zamboni nel pomeriggio incontrarono il pubblico presentando il disco “Live in Punkow” dei CCCP, che era appena uscito per Virgin, che comprendeva vecchie registrazioni live dei Fedeli Alla Linea. Fu in quell’incontro che si apprese la genesi di Madre. Ferretti va da Zamboni e gli dice di aver scritto un pezzo che un po’ fuori da quanto scritto finora. “Te lo canto, ma tu voltati, che mi imbarazza cantarlo mentre mi guardi”. E attacca, Madre di Dio, e dei tuoi figli, madre dei padri e delle madri…. Zamboni ascolta attonito. Non discute sulla qualità del pezzo, ma si interroga su come avrebbe reagito un pubblico avvezzo a Emilie Paranoiche e Juryj sparanti. Nessuna paura. “Loro alzeranno il pugno e piangeranno con me”. Toccante. Altri tempi. Quella sera avrei voluto sentire Madre e alzare il pugno anch’io. Ma non la suonarono.
C.S.I. – Del Mondo
Quella sera i CSI suonarono in una formazione anomala, con Pino Gulli alla batteria (il batterista di Ko De Mondo che poi sarebbe ritornato nei PGR). Sul palco piccolo, senza enfasi, raccolti, quasi dimessi, suonarono Buon Anno Ragazzi, Io sto bene, A Tratti, Palpitazione Tenue e una decina di altri brani. Più vicini alle sonorità di In quiete o di Linea Gotica che a quelle che sarebbero venute da lì a poco, quelle della Tabula Rasa Elettrificata. Il loro modo di fare festa era quello di regalare qualcosa che non avremmo più sentito. Ma ancora non lo sapevamo.
Ma non c’erano solo i CSI. C’erano i Mira Spinosa, in una delle loro prime apparizioni, a presentare in anteprima i brani del loro futuro primo album. C’erano i Disciplinatha in una delle loro ultime apparizioni. Da come suonarono quella sera, non sembrava proprio che avessero voglia di smettere di lÏ a poco. C’erano gli AFA a confermare la loro svolta techno-nomade. C’erano gli Ustmamò in un’imperdibile ed unica apparizione: folgorati dal Bristol sound imperante dell’epoca si lasciarono andare in un’improvvisazione trip-hop di una ventina di minuti. Un brano inedito di pura trance. Considerato che il gruppo all’epoca era molto seguito e molto apprezzato anche dai cultori di un certo pop-mainstream, magari c’era chi si aspettava le canzoni e che forse se ne andò con l’amaro in bocca. Ma alle Notti del Maciste un gruppo si poteva davvero permettere di fare quello che voleva. Poi, verso le tre di notte del sabato sera, Mariano De Tassis, responsabile luci dei tour dei CSI e dei tre giorni della festa, spiazzò tutti con una sua terroristica performance teatrale: salì sul palco e urlò. Urlò ininterrottamente per due minuti. Una degna conclusione del delirio dei tre giorni appena passati.
E le cose spiacevoli? Beh, ci sono state anche quelle. Ad esempio, i cancelli aperti con due ore di ritardo nella giornata di sabato. Due ore di ritardo e quasi quattrocento persone fuori ad aspettare, il sette di dicembre con un clima non propriamente torrido. Oppure la lite tra il Santo Niente e i buttafuori del Cencio’s, non ne ricordo il motivo. Più che una lite, una vera e propria rissa. Molto rock’n’roll. I buttafuori non sono propriamente degli angioletti, è risaputo.
Insomma, tre giorni di frenetico e fantastico delirio, e un visibilio di gente: gli annali tramandano diecimila presenze in tre giorni. Gli annali sono sempre esagerati, però dentro al Cencio’s non ci si rigirava. Oltre alla musica, in cartellone c’erano gli incontri, le anteprime cinematografiche (furono proiettati un corto inedito di Guido Chiesa con Godano protagonista e alcuni frammenti di Tutti giù per terra, Davide Ferrario presente), la mostra dei Taccuini di Andrea Chiesi, quelle fotografiche di Francesca Dall’Olio, Fabrizio Cicconi, Alex Maioli. I tre giorni delle Notti di Maciste consegnavano al mondo rock degli anni 90 una realtà culturale a tutto tondo, di cui la musica era solo una delle componenti, che si stava affermando ed era pronta a fare il grande salto. Era la fine dell’inizio. Ce ne fu un’altra edizione, sempre a Prato, ma allo stadio comunale, due anni dopo, e quella fu l’inizio della fine. Ma è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta.