THE AFFAIR
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Uno scrittore in vacanza con la famiglia nella casa dei ricchissimi suoceri a Montauk, località turistica fuori New York; una donna del posto, sposata, segnata da una recente tragedia; un’attrazione immediata e inesorabile. Come è esplicito fin dal titolo, The Affair parla di un adulterio, anzi si tratta una vera e propria indagine sul compiersi di un tradimento. La sua particolarità è infatti la struttura: ogni puntata è divisa in due parti, e gli stessi eventi vengono narrati dai due punti di vista differenti di Noah e Alison, protagonisti della serie e della relazione clandestina. Ciò si traduce in una narrazione inattendibile, innanzitutto perché i racconti dell’uno e dell’altra spesso non combaciano in molti dettagli, e in secondo luogo perché i due personaggi ripercorrono i fatti non solo a beneficio di noi spettatori, ma perché interrogati da un detective, che a sua volta sta indagando su un possibile delitto avvenuto proprio a Montauk. Una sensualità resa in modo assolutamente naturale, una narrazione intrigante, attori convincenti (Dominic West, già visto in The Wire e nella serie britannica The Hour, Maura Tierney, la Abby di E.R., Joshua Jackson, già Pacey in Dawson’s Creek e Peter in Fringe, e nei panni di Alison la meno conosciuta ma bravissima Ruth Wilson) fanno di The Affair una delle serie drama più interessanti dell’anno.

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THE KNICK

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New York, inizio Novecento: The Knick è un ospedale in cui grazie ai finanziamenti di una facoltosa famiglia della zona, il chirurgo John Thackery può sperimentare procedure all’avanguardia e sviscerare (letteralmente) il corpo umano e le malattie che lo colpiscono. Thackery, interpretato da Clive Owen, è una versione del binomio genio e sregolatezza, ossessionato dal proprio lavoro e dipendente dalla cocaina. Dietro a The Knick c’è Steven Soderbergh (i vari Ocean’s, Che, Dietro i cadelabri, eccetera), che produce e dirige superbamente tutti gli episodi. Fin da subito è evidente che l’ospedale è il pretesto per esplorare in modo abbastanza brutale la società dell’epoca: la segregazione tra ricchi e poveri, bianchi e neri ma più in generale americani e immigrati, sani e malati. Intorno la corruzione, il razzismo, la trasformazione dell’umanità in corpo da smerciare, sezionare, o su cui lucrare. In onda negli Stati Uniti su Cinemax, sorella “scabrosa” della rete HBO, The Knick non lascia nulla all’immaginazione, e fa sentire con più realismo possibile tutto il peso di un’epoca in cui le mani (nude) dei chirurghi si infilano nelle viscere fino ai gomiti, le ricuciture si fanno col filo spesso due centimetri e le emorragie si pompano a manovella. Per stomaci forti, oppure da guardare con le mani saltuariamente davanti agli occhi, ma ne vale la pena.

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TRANSPARENT

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Mort Pfefferman è un professore universitario in pensione, divorziato, con tre figli adulti. Mort in realtà è Maura, perché si sente una donna da sempre, e dopo una vita di nascosto decide di rivelare alla famiglia e al mondo la sua identità di genere. Prodotta da Amazon, Transparent ha innanzitutto il merito di affrontare la complessa questione dell’identità transgender, per di più con un personaggio in età matura, allontanandosi dagli stereotipi e da ogni retorica. Sono sorprendenti la delicatezza e la profondità con cui la serie tocca le molte declinazioni della tematica omosessuale e queer, con un occhio alla commedia e uno al dramma, senza mai scadere nel patetico o nel tragico. Vincente la scelta di non fare del coming out di Mort il tema portante della serie, o meglio, non l’unico, e di usarlo invece come filtro per affrontare le idiosincrasie, gli egoismi, i problemi di tutti i membri della famiglia Pfefferman. L’estetica un po’ indie potrebbe erroneamente far pensare ad un prodotto autocompiaciuto e hipster: non fatevi ingannare, la scrittura è il suo punto forte, e Jeffrey Tambor (Arrested Development) è eccezionale nei panni di Mort/Maura. Transparent si divora, grazie anche alla durata breve, dieci episodi da una ventina di minuti.

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