Era un caldo pomeriggio di luglio, anno di grazia 1981, il luogo era il Parco delle Cascine di Firenze e l’evento il Festival dell’Unità. Chi scrive all’epoca era uno studente sfaticato, girava in Vespa, cercava compagnia femminile ed aveva un amico che era un’autentica iattura, tale Corradino, un organizzatore nato di eventi, gite e trasferte con inevitabile catastrofe finale come comune denominatore.
Quel giorno Corradino ci aveva convinti, me ed altri tre povericristi, a recarci alle Cascine per “dare una mano” ai ragazzi che montavano il palco per il concerto serale. “Andiamo là, portiamo due strumenti, conosciamo i musicisti… sapete quante donne ci sono?”. Risultato: dieci ore sotto il sole, con tavole, tavolette e cacciaviti, a tirare fili, portare strumenti ed altre amene attività, donne zero, morale sotto i tacchi ed un insopprimibile fremito omicida nei confronti dell’amico.
Alle 18, come avemmo finito, ci sedemmo per una birra ghiacciata. Gianni Maroccolo e Ghigo Renzulli salirono sul palco a provare qualche accordo, ( la serata prevedeva Litfiba e Diaframma ), poco lontano Pelù e Fiumani firmavano autografi e le persone iniziavano ad avvicinarsi, incuriosite. Maroccolo ad un certo punto scese dal palco e si diresse verso un tale smunto e smagrito che pareva sceso da Marte, gli battè una mano sulla spalla e lo abbracciò. Poi si girò verso Renzulli ed urlò:”Ghigo, hai visto? C’è Lindo.” Ricordo che mi voltai verso un mio amico e ghignai: “Si chiama Lindo quello zombie?” “Maroccolo deve lavorare come volontario in qualche comunità di recupero”, disse una voce alle mie spalle. Risata generale.
Quella fu l’unica volta, a parte un paio di concerti, in cui mi trovai fianco a fianco con Giovanni Lindo Ferretti, che si esibirà a Prato prossimamente.
Cosa si può dire di e su di lui che non sia già stato sviscerato, analizzato ed anatomizzato? Della sua statura artistica è inutile parlare. Del suo percorso ideologico e spirituale pure.
Del suo sciamanico carisma da sacerdote della bassa padana, un mix tra Charlie “satana” Manson e monsignor Milingo, ognuno può pensare ciò che vuole, la mia opinione è che artisticamente abbia seguito il percorso di tanti altri santoni musicali, italiani e non: alcuni dischi fenomenali all’inizio, almeno quattro nel suo caso, una buona gestione del successo, casomai annacquando le asperità gotiche ed orientaleggianti degli esordi con un suono più digeribile dalla massa, e poi l’inevitabile calo, con progressivo abbandono della scena, cui non è seguito un collaterale ribasso di popolarità ma anzi: l’autoesilio ha, se mai ce ne fosse stato bisogno, contribuito a rinforzare il suo mito.
Il fatto è che quando si cessa di essere artisti per diventare punti di riferimento quasi spirituali, e nel suo caso il lemma ci sta tutto, dall’alto del tuo nuovo status di guru i fan ti perdonano tutto, anche le più solenni boiate. E i critici prima di stroncarti ci pensano diverse volte. Ci sono voluti dieci anni ed altrettanti dischi inqualificabili, ad esempio, prima che un giornalista di Melody Maker, novello Fantozzi, urlasse al mondo intero che David Bowie produceva solo cagate pazzesche.
Quello che lo ha differenziato, da tanti altri illustri colleghi, è lo stile mantenuto nella fase di decadenza. E’ rimasto fedele a se stesso, non ha cercato improbabili e patetiche reentré, né di uscire dal suo volontario cono d’ombra partecipando a dozzinali programmi televisivi o presenziando a quelle insopportabili trasmissioni per nostalgici. Coerente con se stesso almeno quanto è stato volatile sul piano ideologico.
Tutto ciò lo rende quasi unico, non classificabile o catalogabile. E del resto stilare l’esegesi di chi passa dal Trozkismo a Comunione e Liberazione è impresa ardua…