Partirà il prossimo 26 settembre fino al 4 ottobre la dodicesima edizione di “Contemporanea”, il festival del Metastasio. Nei prossimi giorni verrà svelato l’intero programma, nell’attesa abbiamo incontrato l’organizzatore e ideatore Edoardo Donatini.
Contemporanea Festival 2014 è alle porte. Come si prepara?
Il festival è frutto di un lungo cammino che dura un anno. Man mano che passano gli anni cerchiamo di tenere un’attenzione rispetto a quelle che sono le creazioni o le frequenze del nostro tempo. Contemporanea è un corpo organico, contenitore di altri progetti, altri percorsi. Cerca di costruire una comunità, dove si può far emergere un tessuto che va ben oltre alla creazione contemporanea. Un tessuto connettivo, sempre e comunque. Il rapporto con spazi come il Fabbrichino del Tpo, il Fabbricone, Spazio K, via Genova, l’ex-chiesino di San Giovanni, le piazze della città. Se posso identificare questo nuovo festival posso dire che è un tentativo di porre in perfetto collegamento l’opera allo spettatore, che io non voglio più definire spettatore, non ‘aspetta’ niente. Lui diventa parte integrante e compartecipe dell’opera, testimone. Una fusione tra l’opera, l’artista ed il pubblico: in questi anni il percorso degli artisti si è distaccato progressivamente da quella che era la sua funzione primaria, creare un senso critico nella comunità, il suo rapporto con la comunità. Da una parte gli artisti si sono rinchiusi in se stessi, dall’altra il pubblico ha avuto un impoverimento rispetto anche alle politiche culturali. Questa frattura evidente è un elemento che non riguarda solo il pubblico italiano, riguarda tutto il nostro tempo. Il punto è quello di procedere in una direzione, in senso contrario. E’ necessario ristabilire un rapporto comunitario: personalmente sto lavorando a creare una comunità creativa a Prato.
Che pubblico viene agli spettacoli di Contemporanea?
Il pubblico che viene oggi a Contemporanea va dai 25 ai 50 anni. Questo non è il punto comunque: il nostro è un festival che pone delle questioni sulla creazione contemporanea. Il pubblico è costituito da persone inclini al coinvolgimento, curioso, pronto a fare scommesse, a non essere rassicurato dalla confezione dell’opera tradizionale. Non è intrattenimento il nostro: è un incontro che presuppone un lavoro che l’artista ha fatto precedentemente e che fa di poi il pubblico. Contemporanea ha una funzione politica: agisce con una strategia culturale, vuole sottolineare e fare emergere determinate situazioni.
In questi giorni si discute del Pecci, del Metastasio, tutti e due in un periodo di transizione. Cosa succede a Prato, culturalmente parlando?
Credo che la nuova giunta e i nuovi assessori che si stanno preparando politicamente a questa discussione siano tutte persone giovani e in grado di comprendere quello che succede nel mondo. Le partite che riguardano il teatro ed il museo in questo momento sono partite molto serie. Questa città ha una sua identità culturale o almeno un suo modo di approcciarsi alla cultura, che è basato su due cardini: il primo, come è sempre stato storicamente, è quello di carattere produttivo e legato alla formazione. Il secondo è quello legato alla contemporaneità culturale: questa è una città che ha sempre investito in senso contemporaneo, non a caso abbiamo il primo museo d’arte contemporanea e un teatro stabile.
Cosa si dovrebbe fare?
Noi dobbiamo costruire un sistema culturale per questa città: sono convinto che non possiamo più permetterci di avere gestioni scollegate. Scommetto che questo potrebbe diventare il 2 o 3% del pil di questa città. Il sistema culturale è un sistema economico, di professionalizzazione, di formazione, di accesso alla comunità in senso trasversale.
Come si arriva alla creazione di questo sistema?
Ci si arriva creando una creazione forte, un indirizzo forte tra gli enti. C’è un’ottimizzazione dal punto di vista di gestione, pensiamo a quanto potrebbe essere sfruttato di più ad esempio quel tesoro che è la scuola di musica Verdi o il teatro Magnolfi se fossero sganciati dalla burocrazia comunale. Se poi nel mio sistema culturale ci sarà una ‘fetta’ che riguarda l’ambito musicale, sarà collegata alla scuola di musica, indubbiamente. E poi ancora le programmazioni, i rapporti col territorio. Dopodiché collocare questo sistema all’interno di un sistema nazionale, europeo ed internazionale. Il centro di questo sistema potrebbe essere il Metastasio, ma ancora di più l’area del Fabbricone, che a parer mio è più importante del Pecci: un’area che potrebbe diventare il centro dello sviluppo culturale di questa città. Se io fossi sindaco di Prato chiamerei i proprietari dell’immobile e proporrei di pagare l’intero lavoro di riqualificazione dell’intera area. Continuando a parlare di quello che già c’è: Officina Giovani potrebbe diventare luogo di residenze creative, il Magnolfi un centro di formazione importante, con percorsi non solo legati al teatro, ma anche all’arte contemporanea del Pecci, e via con uno sviluppo pensato nell’area dell’ex ospedale, collegata a via Genova.
Sembrerebbe non mancare nulla in quanto a strutture.
Noi non è che non abbiamo un sistema, non lo abbiamo mai fatto diventare un sistema: ci sono tutti i livelli e gli elementi, ma nessuno questi ingredienti li ha voluti mettere nello stesso piatto. Se questo avvenisse, io penso che la faccia di questa città cambierebbe, potremmo anche capire in maniera più facile che tipo di teatro dobbiamo fare, che tipo di museo dobbiamo creare. Un percorso che parte da Officina Giovani fino al Fabbricone.
Questione Teatro Nazionale. Cosa ne pensa? Crede che possa essere vincolante per il suo progetto di creazione del sistema culturale?
Il teatro Metastasio i numeri ce li ha. Poi questa storia è un po’ in controtendenza: in tutta Europa si cerca di smantellare i grandi centri, noi andiamo ad inventarci i teatri nazionali. Se è vero quello che dico io, che il nostro obiettivo è quello della contemporaneità, non so nemmeno se è necessario diventare teatro nazionale, forse anzi questa medaglia potrebbe essere ingombrante. Noi siamo una città di progetto e in questo senso, diventare una struttura molto rigida potrebbe essere vincolante. La discussione del teatro nazionale si basa sul discorso delle risorse: è evidente che diventarlo vorrebbe dire avere più risorse. Ma invece in questo progetto la discussione si basa su quanto sei libero di agire.
Cosa ne pensa del nuovo cda e quali sono le loro priorità secondo lei?
La scelta di Bressan è stata una scelta inaspettata ma giusta, che può far crescere questo teatro. L’aspettativa nei confronti di questo luogo è alta, su tutti i fronti: penso che questo cda sia la scarpa giusta per il piede Metastasio. Hanno una bella opportunità, stanno scrivendo una pagina nuova, perché non sapendo cosa saremo tra poco, comunque sarà un inizio, comunque non saremo quello che siamo stati fino ad oggi.