La sagra della zuppa di Massarella, in quel di Fucecchio, è senza dubbio uno dei must dell’estate. Da diversi anni ci regala un programma di tutto rispetto pescando a piene mani dall’indie nostrano e infiocchetta il tutto con una perla, un concerto impossibile, imperdibile, un concerto da un passato quasi remoto, o meglio, da una dimensione parallela, che difficilmente potremo ritrovare altrove. Alcuni potrebbero pensare a un imperdonabile ricerca dell’effetto nostalgia, un voler beccare l’hipster e l’attempato: a me piace pensare invece che i promoter di tale sagra di estrema provincia ricerchino la bellezza a tutto tondo, il guizzo genialoide che i promoter raramente hanno, – e quando ce l’hanno, sono ricordati negli anni. Io la scoprii due anni fa, quando sul palco della sagra si avvicendarono Dente, I Cani e Franco Califano. Uno degli ultimi concerti del maestro, poesia e vita allo stato puro. L’anno scorso riuscirono a mettere insieme il fiorfiore dell’indie italiano ad omaggiare Lucio Battisti sotto la direzione della Brunori Sas. Quest’anno il programma è ancora una volta un capolavoro. Indie italiano e internazionale, un programma degno di un grande festival: Calibro 35, Bobo Rondelli, i Giuda, The Vickers, The Veils, James Walsh degli Starsailors… e Bobby Solo. Sì, proprio lui. L’ultimo alfiere del rock’n’roll tra cinquanta e sessanta – l’ultimo ancora in vita. Lui si è esibito sul palco della Sagra della Zuppa sabato 19 luglio. E noi eravamo lì a vederlo, ovviamente.
Bobby Solo (alias Roberto Satti) è un ragazzo d’altri tempi. Uno di quelli che chiama ancora i promoter “impresari” e la propria band di musicisti non proprio preparatissimi “l’orchestra”. Dall’alto dei suoi quasi 70 anni, di vita ne ha vista molta, e il fatto di essere ancora in pista a con la sua chitarra a spalla gli fa senza dubbio onore. Sul palco si diverte, balla come può e come sa, gioca e gigioneggia sulle note basse della sua voce – e lo sa fare ancora bene, ci regala dei meravigliosi assoli mono-bi nota che hanno del sublime. E’ consapevole del fatto che il pubblico cinquanta-sessantenne in sala vuol sentire i pezzi degli anni 60, e infatti divide praticamente in due la scaletta, alternando dei classici rock’n’roll, praticamente tutto il meglio di Elvis Presley – che la band jamma con grande soddisfazione – alle proprie canzoni, il suo repertorio dal 61 al 69. Non più tardi, che non ha senso. Si glissa sulla rinascita degli anni 80, che oramai quei pezzi sono già dimenticati, meglio divertirsi con “Prendi questa mano Zingara”, “La siesta” o “Cristina”, un rock’n’rollino scritto alla tenera età di 14 anni.
Divertimento puro, come puro divertimento sono le incursioni nel repertorio di Presley. E allora Hound dog, Always on my mind, Blue Suede Shoes, Rip It Up, la graditissima Are You Lonesome Tonight, e una decina di altre perle. E poi, alcune sorprese, due in particolare, del tutto inaspettate. La prima, una versione di Estate di Bruno Martino di tutto rispetto, quasi caposseliana, e poi Folsom Prison Blues, il Johnny Cash più maledetto, quello del concerto nel carcere di San Quentin. Quello che confessa di aver ucciso un uomo solo per vederlo morire. Inaspetatta e disarmante. Una sorta di esperienza mistica, sentirgliela cantare, giuro. Poi, è ovvio, la Lacrima sul viso e Se piangi se ridi. In fondo, giusto perché si devono fare, con l’ausilio anche di qualche piccolo stratagemma come una base sulla quale la band suona sopra. Tanto noi ci siamo divertiti prima, con tutto il resto. Alla fine, chitarra in spalla, abbandona il palco e saluta tutti quanti i presenti. Bobby has just left the building. Lunga vita al re.
Lunga vita al rock’n’roll. Lunga vita alla Sagra della Zuppa.