Il mondiale azzurro è finito nel peggiore dei modi. Per un intero paese il capro espiatorio del fallimento è lui: Mario Balotelli. L’unico ad aver giocato male. L’unico ad aver segnato un goal su azione. L’unico attaccante che il mondo ci invidia.
L’Italia si presenta in Brasile tra molti dubbi (non vince una partita da una vita) e qualche speranza legata alla sorte di Mario Balotelli. E’ lui la vera rockstar della spedizione. I brasiliani lo adorano e per tutti il ritiro è circondato da fans, per lo più bambini, che si scattano selfie tra le lacrime per quello che, dopo Neymar, è il calciatore più atteso nella terra della Seleçao, più di Pirlo e di Buffon, le luci della ribalta nel ritiro azzurro sono solo per lui. Che sembra finalmente sereno, felice. Finalmente Balotelli sorride.
Si inizia con quella che sulla carta è la partita più difficile, l’Inghilterra. Prandelli stravolge tutti i piani e mette in campo una squadra accorta con un’unica punta, Balotelli appunto, chiamato a fare reparto da solo. Segna Marchisio con un gran tiro da fuori, poi gli inglesi pareggiano grazie allo svarione difensivo di Chiellini e Paletta. Nel primo tempo gli arriva solo una palla vera e compie una mezza magia, proprio allo scadere, con un pallonetto impossibile che per pura sfiga non entra in rete.
Nel secondo tempo la partita è tesa incerta ed è proprio Balotelli a risolverla con uno stacco di testa imperioso che finisce in rete. E’ il goal che decide l’incontro ma nel dopo partita invece che complimentarsi con lui (a cui sino al Brasile aveva sempre perdonato tutto) Prandelli lo mette sotto accusa: deve fare di più. Cosa deve fare di più un attaccante che gioca in un modulo inedito, se non segnare il goal della vittoria?
Contro la Costa Rica l’Italia scende in campo convinta della vittoria, ma si trasforma in una Caporetto azzurra. Mario riceve solo due palloni giocabili, con il solito schema: palla a Pirlo e lancio lungo del faro azzurro. Sempre più preciso, sempre più lento.
Sul primo assist sbaglia lo stop in corsa, tenta un disperato pallonetto che esce fuori, maldestramente. La seconda la calcia di potenza addosso al portiere. Vince la Costa Rica, grazie al solito svarione difensivo marcato Chiellini. Italia non pervenuta. Da eroe al banco degli imputati, il passo è breve. E Balotelli smette di sorridere.
La terza gara contro l’Uruguay è decisiva, all’Italia basta un pareggio, ma Prandelli decide per la doppia punta. A far coppia con Mario e quell’Immobile che, secondo il ct fino a pochi giorni prima, è incompatibile con Balotelli. Il risultato è che il problema raddoppia, nel senso che adesso abbiamo due calciatori isolati là davanti a cui nessuno riesce a servire palloni degni di questo nome. Mario è nervoso, pesa sul suo conto la responsabilità di quello stop con la Costa Rica sbagliato in corsa. Passa un tempo a fare a sportellate con gli spigolosi difensori uruguaiani e rimedia un’ammonizione che sancisce la squalifica nell’eventuale passaggio del turno.
Si innervosisce.
Nel secondo tempo viene sostituito da Parolo. E’ la mossa tattica che decide in negativo l’incontro. Perché quando Immobile esce per malanni fisici la davanti rimane la coppia impensabile Cassano Parolo con il primo che, incazzato per non aver giocato contro l’Inghilterra ha già iniziato a fare “cassanate”. Ma ormai a lui non ci fa più caso nessuno.
L’Italia perde inevitabilmente perché quando l’Uruguay segna, sempre grazie al solito svarione difensivo non rimane nessuna punta vera là davanti in grado di pareggiare. Gli azzurri sono in dieci perché nel frattempo Marchisio è stato espulso per un fallo a metà campo. Sanzione esagerata, ma l’entrata sul polpaccio dell’avversario è cattiva e gratuita. Si finisce che a far da centravanti è Chiellini con Buffon che termina la partita nell’area avversaria.
Dopo partita rovente, davanti alle telecamere pur senza citandolo Buffon e De Rossi attaccano duramente Balotelli, per il suo atteggiamento nel primo tempo. Val la pena di ricordare che De Rossi nel 2006, per una gomitata inutile e violenta, aveva scombinato il centrocampo di Lippi rimediando una squalifica terminata solo per la finale. Aveva 23 anni, gli stessi di Mario Balotelli. Entrambi, Buffon e De Rossi, accusano i giovani e difendono i senatori che hanno retto la baracca. Sì la colpa del mancato passaggio del turno non è dell’allenatore che ha cambiato tre formazioni e tre moduli, non è degli svarioni dilettanteschi della difesa dei cosiddetti senatori, ma degli Insigne, Immobile, Cerci. Prima eccessivamente esaltati e poi utilizzati poco e male. E soprattutto di lui, Balotelli. (Escludiamo dalla lista Darmian, l’unica nota veramente positiva della spedizione).
E’ una cosa mai vista. Mai prima d’ora si era visto giocatori, tra cui il Capitano accusare direttamente un proprio collega. E’ un vero e proprio aut aut, o lui o noi. E finalmente si capisce il motivo del disastro azzurro. Uno spogliatoio lacerato tra bande contrapposte, vecchi contro giovani, di cui Balotelli, che a onor del vero è ormai un veterano per presenze, a fare da capro espiatorio per tutti. Più che il gioco eccolo il vero fallimento di Prandelli: non essere riuscito a tenere insieme un gruppo. E adesso che Prandelli è già storia passata, si lanciano messaggi a chi sarà il suo successore. O lui o noi.
Mario non ci sta e il giorno dopo si sfoga, alla Balotelli, perché non potrebbe essere altrimenti, tirando in ballo la sua “negritudine”. E’ uno sfogo che può sembrare esagerato, ma che rende bene l’esasperazione di quello che, come sempre capita, è destinato a passare da salvatore della squadra a panacea di tutti i mali.
Come al solito la risposta scatena una reazione ancora più veemente. Vuoi pure parlare dopo aver sbagliato quello stop in corsa contro la Costa Rica, o dopo aver reagito ai difensori più ‘gnoranti del creato? Aver sbagliato uno stop in corsa è una cosa che non si perdona, a differenza dei lisci di Chiellini, delle prestazioni impalpabili di Marchisio, di quelle irritanti di Thiago Motta, o assolutamente inutili come quelle di Cassano.
Un cartellino rosso si può perdonare, tanto è sempre colpa dell’arbitro, quello giallo no. Perché tu Mario devi star zitto e fare goal. Guai se sbagli.
Tu non fai parte del gruppo. Tu non sei uno di noi. Forse sta proprio qui il richiamo ai “fratelli negri” di un ragazzo di 23 anni che si sente non voluto, non amato, che deve sempre dimostrare qualcosa. Ad un paese in cui è nato, ad una squadra che, nel bene o nel male, ha vissuto sinora aggrappata ai suoi goal.
Non siamo stati dentro lo spogliatoio azzurro. Non possiamo sapere cosa sia accaduto nei giorni di ritiro nella patria di Mister No. Di chi siano le colpe e quali i motivi di questa situazione. Dove siano gli eccessi di Mario o dove le invidie per la sua popolarità al di là dei patri confini.
Possiamo solo giudicare dal campo e dire che se è vero che Mario ha deluso, non ha deluso più degli stessi senatori.
E che perdere a soli 23 un talento del genere è semplicemente un delitto per il calcio italiano visto che, gli inossidabili senatori, tanto inossidabili non paiono, visto che, all’orizzonte, quanto meno non si vedono fenomeni migliori là davanti. Possiamo solo provare il rimpianto di immaginare cosa sarebbe stato se, a far coppia con lui ci fosse stato in Pepito Rossi, se a dargli palloni non ci fosse stato solo Pirlo, ma anche un Diamanti o un Totti. Gente che la palla la sa dare.
Tenuto conto che, a soli 23 anni, con il goal all’Inghilterra, il calciatore italiano più amato all’estero e più odiato in Italia, ha raggiunto quota 13 nelle marcature in maglia azzurra. Lo stesso score di Pirlo (35 anni), una sola in meno (tra gli altri) di Gianni Rivera.
E adesso insultatemi pure.