Una buona notizia era l’uscita al cinema, dopo anni – si è dovuta aspettare la morte di P. S. Hoffman – di SYNECDOCHE, NEW YORK, intrigante e al solito narrativamente incasinatissimo lavoro di Charlie Kaufman, sceneggiatore dei migliori lavori di Jonze e Gondry. Però a Prato non arriva quindi per obblighi contrattuali non ne parleremo. Visto che esce a Firenze andate a leggervi la rece di qualche critico fiorentino tipo Bogani. Se ne parla male, andateci subito.
Torna invece in sala – ed esce anche a Prato – PER UN PUGNO DI DOLLARI (e torneranno dalle prossime settimane gli altri due capitoli della trilogia del dollaro), forse non IL capolavoro di Leone, ma ovviamente imperdibile per tornare a respirare cinema, per spalancare gli occhi a neofiti e assuefatti dal carino all’italiana, perché 50 anni fa un altro cinema era possibile, rivoluzionario, stilisticamente elaborato, incendiario.
E dopo aver ammirato Eastwood davanti alla macchina da presa andate a vedere cosa ha combinato con JERSEY BOYS, il suo primo musical da regista. Eastwood, al di là della compostezza apparentemente classica del suo cinema, è un pazzo totale, come tutti quelli nati sotto il segno dei gemelli. Film come Space Cowboys stanno lì a dimostrarlo. Ma in ogni suo film c’è sempre qualche elemento che devia la norma. Il pazzo Eastwood aveva voglia di musical, ci aveva provato con il progetto di un remake di E’ nata una stella con Beyonce (certo cinematograficamente più arrapante di questi frocetti cotonati), ci è riuscito con questo Jersey Boys, che non è da iscrivere tra i capolavori del regista – come poteva esserlo un film su una boy band degli anni 50 che canta in falsetto, i Four Seasons? – ma come film musical su una boy band degli anni 50 che canta in falsetto è quanto di meglio si potesse immaginare. Anche grazie alla penna dell’autore del musical di Broadway da cui è tratto, Marshall Brickman, al lavoro nei migliori film di Allen (Io e Annie e Manhattan), ad una macchina da presa mobilissima, tra sguardi in macchina e ritmo forsennato alla Scorsese (c’è anche Joe Pesci), a un team di grandi attori tra cui spicca Cristopher Walken. Buttato lì in una stagione depressa come giugno, tra l’autobiografia di Asia Argento (non male a dire la verità), film francesi brutti e z-movie finanziati dalle varie film commission del Sud Italia, è una manna.
Purtroppo delude la commedia di Nick Cassavetes TUTTE CONTRO DI LUI, sebbene la squadra ben assortita di donne incazzate – la giovane, bonissima Kate Upton, la milf Cameron Diaz – sembra ieri quando il suo ingresso nel cinema mandò in tilt orde di adolescenti segaioli -, la grandissima Leslie Mann, moglie di Apatow. Quest’ultima è l’elemento che cerca di scardinare con eccessi di vario tipo un film che si adegua spesso sulla piattezza tematica, narrativa, stilistica di un Sex and the City piuttosto che sulle ruvidezze divertenti delle Amiche della Sposa.
A proposito di film italiani arriva nelle sale LA PIOGGIA CHE NON CADE, operazione realmente allucinante di recupero delle forme del “musicarello” – sì proprio quello, il film promozionale degli anni 60 con i Little Tony e i sotto Little Tony dell’epoca. In questo caso si promuove la musica degli Inverso. Chi cazzo sono? Un gruppo romano. Quale appeal può avere un coso del genere? Nessuno. Esiste qualcuno che può preferire questo al film di Eastwood se non è stretto parente degli Inverso? Un folle. Perché distribuire a Prato La pioggia che non cade piuttosto che il film di Kaufman? Non si sa. Almeno ci fosse Don Backy…