Era successo anche all’Italia in Sudafrica e alla Francia in Corea e Giappone, adesso tocca alla Spagna essere eliminata al primo turno da campione del mondo in carica. La differenza è che alle furie rosse sono bastate due partire per finire subito fuori.
Continua l’incubo di Iker Casillas che, con il nuovo errore che ha determinato il 2 a 0 contro per il Cile, è ormai il simbolo di una “caduta degli dei” sulla quale si sta scatenando l’ironia a tratti crudele del web e dei media. Segno anche questo inequivocabile di un dominio calcistico tanto assoluto da diventar antipatico, nelle competizioni per club e per nazionali che, più che volgere al termine, sembra sancire la fine fisiologica di un ciclo comunque esaltante.
Nel caso specifico di punchball Casillas ricordiamoci che stiamo parlando di quello che la Fifa ha eletto come il migliore portiere degli ultimi venti anni. Dopo Buffon.
Anche per Casillas ci sono molti precedenti storici. Il basco Andoni Zubizareta, bandiera e simbolo del Barcellona e della Nazionale, di cui era anch’egli capitano, ribattezzato come lo “Zoff iberico” per stile e carisma tra i pali e per il record di presenze con la maglia delle furie rosse (prima di esser superato da Casillas), venne cacciato dal Barça di Cruijff, che lo elesse a capro espiatorio della finale di Coppa dei Campioni del 1994 persa 4 a 0 con il Milan (galeotto fu il pallonetto del genio Savicevic) e chiuse mestamente dopo 126 partite con la Nazionale con la papera ai mondiali del ’98 contro la Nigeria, che costò alle furie rosse l’eliminazione. Provando sulla propria pelle cosa significhi passare da monumento vivente a capro espiatorio. C’è da dire che Zubizarreta aveva già 37 anni e quella fu l’ultima partita della sua carriera.
Prima di Zubizarreta ancora un portiere basco, ancora un capitano, Arconada (che si rifiutava di indossare i calzettoni della nazionale, secondo alcuni per spirito nazionalistico basco, secondo altri per scaramanzia) considerato all’epoca il miglior portiere spagnolo dai tempi del divino Zamora, disputò da protagonista l’Europeo dell’84, ma venne messo sulla graticola per il fatale errore contro la Francia, che passerà alla storia come il “goal di Arconada”.
Sempre in tema di clamorose papere da portieri da cui non te lo aspetteresti, si segnala Igor “saponetta” Akinfeev che, nella gara contro la Corea, si è lasciato schizzar via di mano un innocuo tiro da lontano, che è costato alla Russia di Fabio Capello un deludente pareggio nella gara d’esordio.
Per il portiere del CSKA Mosca, allevato calcisticamente da Rinat Dasaev, di cui è considerato l’erede (anche se il maestro ogni tanto non manca di “cazziarlo” come fece nel 2009 dicendo che non era migliorato) si tratta di un brutto scivolone, per il quale si è sentito in dovere di chiedere scusa a tutti i tifosi. Akinfeev in questi anni si è conteso la maglia della Nazionale con Malafeev, portiere dello Zenit, facendo a gara a chi era più sfigato. Come uno diventava titolare si infortunava, liberando il posto all’altro. La gara della sfiga è stata vinta da Malafeev a cui, nel 2011, è morta la moglie Marina in un incidente stradale alle cinque del mattino, tanto che dopo l’Europeo del 2012 ha dato l’addio alla nazionale per stare accanto ai due figli, liberando il posto ad Akinfeev. Nel frattempo si è consolato sentimentalmente risposandosi con una dj russa, tanto giovane quanto prorompente. Malafeev non Akinfeev.
Chiudiamo dando il triste addio al Camerun di Eto’o. Le quattro sberle rimediate contro la Croazia rispediscono a casa i leoni d’Africa. Lontani i tempi in cui la squadra simpatia faceva impazzire il mondo, fungendo da faro per l’allora neonato movimento calcistico africano, che sta deludendo assai, almeno sinora, in Brasile. Eccezion fatta per la Costa d’Avorio di Drogba (tenuto misteriosamente in panchina nella prima gara, salvo entrare e far svoltare l’esito dell’incontro in tre minuti), unica squadra africana ad aver colto sinora i tre punti.