Ode alla musica con il suo bel supporto
Lo sappiamo. E nemmeno vogliamo passare per quelli nostalgici dei soliti tristi “bei tempi andati”. Quindi sia detto una volta per tutte. W la rivoluzione digitale, che ha cambiato per sempre il volto e l’essenza della musica, liberandola dalla zavorra del supporto materiale.
Ma ogni rivoluzione lascia sul campo i suoi cadaveri eccellenti, ed il più nobile di tutti i caduti di questa rivoluzione musicale è il suo supporto.
La custodia.
La copertina del disco.
Campo di applicazione per grandissimi capolavori della grafica, della fotografia, dell’arte stessa (basti pensare alla famosa banana di Warhol che sigillò la più nota immagine di un disco rock mai prodotta), raffinatissime letture minimali da gustare piano mentre il disco gira sul piatto, le copertine accompagnano il godimento della musica con sensazioni tattili e visive, suscitando profonde libidini e desiderio di possesso.
Tanto è vero che, troppe volte date per defunte, continuano a vivere, se non a prosperare, in uno spazio popolato da intenditori, collezionisti, feticisti, guerriglieri indomiti del supporto, che. Come tanti soldatini giapponesi, si rifiutano di cedere il loro atollo alle armate digitali.
Perché in fondo la musica priva di supporto è come il sesso fai-da-te: tecnicamente si tratta dello stesso tipo di piacere. Ma è proprio la mancanza della sostanza a rendere l’esperienza decisamente meno interessante.
P.S.: Come “testimonial” di questo Beautycase abbiamo voluto una libera selezione tra le copertine dei dischi jazz della Blue Note Records. Quasi tutte a firma di Reid Miles, al quale l’etichetta, leader nell’edizione musicale jazz, affida a partire dal 1956 la redazione delle copertine delle produzioni e degli album. Miles diede vita ad un capitolo fondamentale della storia della ed in generale ad una sequenza impressionante di capolavori assoluti di minimalismo e di composizione di testo ed immagine.
Con un linguaggio capace di sopravvivere addirittura al suo SUPPORTO.