Dopo la “Banda del Brasiliano”, riuscito manifesto di una generazione di trentenni ingolfati quanto incazzati neri, il collettivo John Snellinberg continua il suo personalissimo racconto con “Sogni di Gloria”, un film più maturo e più pensato del precedente, ma non per questo meno divertente e illuminante.
“Sogni di Gloria” è un film doppio da tutti i punti di vista. Intanto è diviso in due capitoli e racconta due storie di formazione, di iniziazione alla vita: quella di un italiano e di un cinese nato in Italia che portano lo stesso nome (Giulio) e che allo stesso modo non riescono a trovare il proprio posto nel mondo. Due storie che sono però le facce della stessa medaglia, quella di una generazione ancora ingolfata e che continua a dibattersi nella rete di un quotidiano familiare che non lascia via d’uscita ma che alla fine, in un modo o nell’altro, riesce a trovare una parvenza di rivincita.
Un film pieno di speranza e di ironia che è profondamente legato alla città di Prato: perché prende un tema caldo come quello della seconda generazione cinese e lo mette a confronto con la controparte italiana, prima di tutto. E poi perché condisce il tutto con le strade, i paesaggi e i circoli pratesi, dove si muovono quegli straordinari personaggi che solo la provincia toscana è capace di generare.
Una Provincia assoluta, dove è necessario e possibile distinguere “quello che è buono da quello che non è buono” e che ha trovato in Carlo Monni, meraviglioso, la cartina tornasole di tutto il film.
Al suo saggio e nostalgico personaggio tutto d’un pezzo, che vuol fare di Giulio un campione di briscola, si contrappone la figura del Disumano, personaggio mitologico quanto possessore di una mitologica virilità. A lui, che battendola sulla balaustra di una terrazza panoramica ricorda la propria supremazia ai maschi della valle (proprio come un Tarzan moderno), spetta il compito di consegnare ai posteri una scena indimenticabile.
Tra crisi mistiche e amori non corrisposti, scherzi di cattivo gusto, pregiudizi razziali, camei imperdibili, memorabili partite a carte e dialoghi che ti rimangono appiccicati addosso, Giulio e Giulio si ritrovano alla fine uomini, pronti a farsi da parte per l’ultima scena: surreale e straziante come solo certo cinema italiano sa essere.
Andatelo a vedere.
Il ricordo di Carlo Monni
L’avventura americana di Snellinberg
Il commento di Tommaso Colliva (Calibro 35)