È domenica mattina. Su Artimino incombe un cielo minaccioso con un sole che filtra a tratti. Intorno alle 11, preannunciato, inizia una via vai di donne tacchi e rossetto per mano a uomini stretti in completi scuri. È un momento importante ed è tutto un salutare cerimonioso, con qualche sorriso spontaneo a rompere il cliché. Gli invitati si affannano a mettersi in posa fra selfie e scatti professionali. Nessuno vuol perdersi quell’attimo tanto atteso: la messa in posa della targa in pietra che simboleggia il marchio dell’Unesco sulla Villa Medicea La Ferdinanda, da oggi patrimonio dell’umanità come le altre Ville medicee sparse per mezza Toscana. Ci sono proprio tutti: la proprietà (sì perché quel patrimonio dell’Umanità è in verità proprietà privata), rappresentata da Annabella Pascale, bionda e fascinosa; l’assessore alla cultura del Comune, Fabrizio Buricchi, il sindaco, Doriano Cirri, il prefetto di Prato, Maria Laura Simonetti, il presidente della morente Provincia, Lamberto Gestri, e altri ospiti in rappresentanza di Soprintendenza e autorità varie.
Imponente e incontrastata regina, però, al cui cospetto tutto si appiattisce, è solo lei, la Villa dei Cento camini, signora di Artimino nei secoli, sorniona dominatrice a dispetto dei piccoli uomini che passano.
Il cerimoniale è il solito e l’emozione è tangibile. Son tutti fieri di questo sigillo e convinti che approfittarne per rilanciare il territorio sia un diktat morale e sociale. Nessuno di loro, di noi, ha il merito di tanta magnificenza, di tanta arte, di tanta storia, ma tutti, sia loro che noi, abbiamo il dovere di esserne cassa di risonanza affinché ogni uomo possa prima o poi mettere piede in questa cornice unica, dove strane energie vibrano, nel riverbero di una natura magnifica. La cornice di Artimino è mozzafiato. Il suo piccolo borgo antico, appassionato dirimpettaio di sua maestà la Villa e scrigno di un museo etrusco che ricorda quanto questo triangolo di terra sia stato fondante da tempi immemori, è condizione sine qua non di tanta beltà. Entrambi senza l’altro non sarebbero quello che sono. È il connubio che vince, l’insieme che risuona, l’uno che si completa. E l’umanità ha il diritto e il dovere di goderne, appunto… se n’è accorta anche l’Unesco…
A questo punto politici e cittadini, proprietari e faccendieri, che cosa ci resta da fare? Poco verrebbe da dire, abbiamo tutto. Ma è proprio quando qualcuno ha tutto che tremano le gambe, no? Impegnarsi a mantenere quanto si ha è la sfida più alta, per chiunque. La paura di sbagliare la fa da padrona, eppure si dovrebbe ricordare che gli errori sono umani, e che è insostenibile solo il ripeterli, perseverando. Quindi, coraggio. Per non vanificare i giuramenti di amore e fedeltà eterna usciti ieri dai cuori di tutti – poi suggellati da un memorabile concerto lezione del maestro Piovani – la prima cosa da fare oggi è soltanto una: iniziare la demolizione dell’unica costruzione che stona nel coro celestiale di Artimino, il mostro di cemento sorto al posto della vecchia scuola. È innegabile: sfregia e deturpa. Riconosciamolo e rimediamo, con umiltà. È questa l’unica vera emergenza culturale, ora. O si fa qualcosa subito o la giornata di ieri diventa aria viziata uscita da bocche illustri.