Cinque anni fa, non esisteva la Brunori Sas. Oggi riempie i più noti locali italiani, con un pubblico etereogeneo che canta le canzoni a squarciagola. Nel mezzo, tre album, una colonna sonora e centinaia di concerti.
Col suo nuovo lavoro “Il cammino di Santiago in Taxi” sembra evidente la volontà del cantautore di Cosenza, confermata anche live: togliersi di dosso la veste di “cantautore da falò”, costruendo brani che, seppur sempre con una vena semplice ed ingenua, richiedono un po’ più di concentrazione da parte di chi ascolta.
E’ il pubblico che fa la differenza. Non sono i social network, non sono i critici musicali, molto spesso pronti a stroncare o non apprezzare quello che è “leggero” (come se la musica leggera non fosse mai esistita in Italia), che non amano il nostalgico o che non riescono proprio ad ascoltare la rima “cuore-amore”, rima che ha fatto la storia della musica pop in Italia e che, fatevene una ragione, la continuerà a fare. E’ il pubblico che fa la differenza (che non è più, da tempo, influenzato dai critici musicali): quello che fa sold out all’Alcatraz di Milano e alla Flog di Firenze, che canta tutte le canzoni, anche quelle del disco uscito un mese fa, a volte anche, come volume, superando la voce del cantante. E tantissime persone, amano la musica di Brunori Sas, i suoi temi, la sua leggerezza, le sue storie e i sentimenti da lui cantati.
Un pubblico che la band cosentina si è conquistato canzone dopo canzone, disco dopo disco, facendo diventare oggi a tutti gli effetti Dario Brunori la prima popstar venuta fuori del cosiddetto “panorama indipendente”, dove ormai si perde la linea di confine tra ciò che è “di nicchia” e quello che non lo è più. Basta osservare la tipologia di persone ad un suo concerto, come già detto (alcuni sicuramente non erano mai stati alla Flog di Firenze, prima di sabato, garantito).
Ovviamente non iniziamo a paragonare la Brunori Sas con il termine popstar a Cesare Cremonini, Tiziano Ferro o Jovanotti, siamo realisti.
La band di Cosenza se l’è sudato questo piccolo grande successo, senza dover mai apparire in televisione o passando da canali mainstream.
Il concerto alla Flog. La band ormai è consapevole e sicura di sé. Vuol fare uno show da club, far divertire le persone, farle cantare ed emozionare. Forse però nemmeno loro si sarebbero aspettati tanto affetto e calore: seconda data, quella fiorentina, del “Cammino di Santiago in tour”. La Brunori Sas arriva in punta di piedi, con il brano che apre disco nuovo “Arrivederci tristezza”, piano, voce e poco altro. Un boato abbraccia il gruppo. Come un forte “bentornati”. Già da quella canzone abbiamo capito come sarebbe proseguita la serata: cori da stadio su tutte le canzoni, un Dario Brunori emozionato dal pubblico e da come questo risponda ad ogni canzone proposta.
Si intervalla momenti di puro divertimento ed adrenalina a quelli intimi, da camera. I vecchi brani vengono rivisitati, un po’ per l’ambiente, un po’ per la voglia di suonarli con una veste diversa. E allora, per citarne uno su tutti, la romantica “Lei, lui, Firenze” si trasforma in una canzone dal sapore anni 80, scatenata, con la cassa in quattro. Il pubblico apprezza. Viene proposto quasi per intero il nuovo lavoro assieme a tanti “cavalli di battaglia”: su “Guardia 82”, definita già da tanti la “Certe notti” del panorama indie italiano, la Flog, sembra crollare dal frastuono delle voci che cantano.
Alla fine, dopo due ore di concerto, la band si congeda da un pubblico soddisfatto, felice ed emozionato.
Concludendo. Fortuna? Scelte giuste? Autenticità? Non saprei definire quale è la chiave del successo della Brunori Sas. La loro musica può piacere o no, ma la band è comunque testimone del fatto che nel panorama indipendente italiano si può avere successo. E non c’è niente di male: è l’obiettivo di tutti gli artisti far conoscere i propri lavori ad un più ampio pubblico possibile e, se ciò accade, non se ne può certo fare una colpa a loro. Se questo consenso se l’è guadagnato lavorando in maniera “indipendente” poi, il tutto acquista un valore aggiunto, non da poco.
Mi torna alla mente la puntata di “Speciale per voi” di Renzo Arbore con ospite Lucio Battisti durante la quale alcuni critici presenti gli rimproveravano il fatto che non sapesse cantare, non avesse una bella voce e la sue canzoni fossero brutte. Lui, meravigliosamente secondo me, risponde rivolto al pubblico: “Scusate, vi emoziona la roba che faccio? Si? E allora basta e maestro attacca con la base!”. Anche lui convinto che, l’ultimo ad avere la parola in capitolo, fosse il pubblico.