Si è appena concluso un anno ricco di soddisfazioni per i Virginiana Miller: il David di Donatello per la colonna sonora di “Tutti i santi giorni” di Virzì, il nuovo disco “Venga il regno”, apprezzato da pubblico e critica, giudicato da tanti tra i migliori dischi italiani dell’anno passato, un lungo tour. Simone, fai un bilancio del vostro 2013.
In definitiva abbiamo cominciato a raccogliere quello che abbiamo seminato in tanti anni di musica. Siamo riusciti ad essere un po’ più comunicativi rispetto al passato: le cose che abbiamo fatto fin qui richiedevano un po’ più di attenzione da parte dell’ascoltatore. Con questo disco siamo stati noi a fare un passo avanti nei confronti del pubblico. Credo che in “Venga il regno” siamo riusciti a trovare una semplicità espressiva che altro non è che l’approdo di un percorso che raggiungi dopo un po’ di lavoro. Quando riesci a fare a meno di tutte quelle complicazioni inutili, che spesso, nascondono insicurezza, più che un apparente profondità. La complessità è una debolezza a volte. Quando sei più sicuro, hai meno paura di affidarti a soluzioni più dirette.
Un tour ormai rodato da tante date. Cosa accade sul palco dei Virginiana Miller?
In giro noi portiamo tutto l’album nuovo e una scelta sostanziosa delle canzoni del nostro passato a cui siamo legati o semplicemente ci piace più fare dal vivo. La dimensione live per noi è importante. Ci sono momenti in cui sono felice di aver fatto un disco solo perché ho voglia di suonarlo dal vivo. Altri momenti in cui la dimensione in studio è quella più appagante. Facendo una media comunque sono due facce della solita medaglia, entrambi fondamentali.
Come varia il tuo comporre per la musica ed in prosa?
Sono due realizzazioni diverse della stessa attitudine. A me è sempre piaciuto lavorare con le parole, è l’unica cosa che so fare. In realtà non le trovo cose così dissimili: quando scrivi una canzone devi inanellare le parole su una melodia, su una metrica, una ritmica, che in qualche modo sono dettate dalla scrittura musicale. Anche quando scrivi in prosa, per quanto mi riguarda, c’è un fatto di ritmo e musicalità. Questo secondo me è il discrimine tra gli scrittori che leggo e quelli che non leggo, per esempio. Leggo scrittori che hanno un ritmo: anche la prosa deve suonare in qualche modo. Quando non scorre, puoi raccontare quello che vuoi, ma non ti riesco a seguire.
Quando scrivi?
Sono monomaniaco. Riesco a fare una cosa sola alla volta. Quando ho pensato alla scrittura di questo disco, a quello pensavo e non riuscivo a pensare ad altro. Come quando ho scritto il mio ultimo libro. Divento ossessionato dalla cosa, in un certo senso. Poi ovviamente il fatto che questa cosa ti ossessioni fa in modo che tu la faccia sempre, magari anche quando sei a fare la spesa.
E’ cambiato il modo di comporre canzoni negli anni?
Il cambiamento sostanziale, ultimamente, è stato dato dal fatto che io ho partecipato meno alla fase della scrittura della musica. Sono arrivato in studio nel momento successivo, gli altri hanno avuto molta più autonomia nella scrittura della musica. Secondo me è stato un bene perché, come dicevo prima, questo è riuscito a semplificare il risultato. Abbiamo mirato subito alla forma canzone nella composizione e, successivamente, quando la canzone aveva acquisito una sua struttura, ci siamo divertiti sugli arrangiamenti e sul resto. Anche questa è stata una differenza sostanziale rispetto al passato.
Buoni propositi per il 2014 per migliorare la situazione musicale italiana, secondo Simone Lenzi?
Secondo me dobbiamo cercare di fare un po’ più di autocensura. L’avvento delle tecnologie digitali e poi dei social network, ha fatto si che tutto diventasse estremamente gratuito. Questa gratuità non significa solo che tutto è disponibile e gratis, ma quello che fai diventa un po’ gratuito, vale poco, perché ti è costato poco. Produrre un po’ meno e produrre un po’ meglio, passare un po’ meno tempo su facebook. Io, per esempio, ho disattivato il mio account. Questo rumore di fondo, questa chiacchera continua sul nulla o su cose di cui non si sa niente, svilisce tutto. E tutto diventa di poco valore. Cercare di fare un passo indietro rispetto a tutte queste cose, è portatore di buono.
Quali sono i libri che hanno segnato la tua carriera artistica?
Il primo è sicuramente “Jakob von Gunten” di Robert Walser. Un libro molto utile, soprattutto oggi, in questo periodo di narcisismo delirante di cui siamo tutti vittime, per cui ognuno crede di essere un’isola straordinariamente interessante. E’ un libro che insegna, al contrario, a non avere alcuna aspirazione. Un antidoto utile per questi tempi. Un altro, anche se so di affermare cosa poco pop, è sicuramente “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, perché non smetteremo mai di rendere merito a lui di essersi inventato il romanzo italiano, una cosa che prima di lui non c’era. E’ una miniera infinita di stile e attenzione: la cosa più bella del libro sono i personaggi minori, un’attenzione anche ai personaggi minuti, apparentemente meno importanti anche nella narrazione, che rivestono i ruoli più marginali, ma che assumono un’umanità straordinaria. Il terzo, diciamo poesia, altra cosa poco pop, Giovanni Pascoli. Un genio del ritmo: nessuno ha mai fatto poesie come lui.
Progetti per il 2014 per Virginiana Miller e Simone Lenzi?
Per i Virginiana Miller suonare, andare a giro a suonare il disco. Per me oltre a questo, sto scrivendo, sto finendo di scrivere il mio terzo libro, sempre per Laterza, che dovrebbe uscire a primavera inoltrata.