Jan Jongbloed che se ne andò in nazionale con la canna da pesca; Canizares e quella maledetta bottiglia di dopobarba, la placca di metallo nella testa di Aldo Olivieri e l’odissea argentina di Claudio Tamburrini.
E poi Joël Bats, Vitor Bahia, Marchegiani e molti altri ancora. Tra papere, incidenti stradali, discriminazioni politiche, lutti, alcolismo, sciagure aeree e problemi di droga.
Uomini e atleti, soprattutto portieri. Così è nato “Portieri, eroi di sventura” (Lit Edizioni, collana Ultra), la prima vera fatica letteraria di Fausto Bagattini, 35 anni, tifosissimo del Torino ed ex assessore alla cultura del Comune di Montemurlo.
Bagattini, perché i portieri?
“Perché la prima volta che sono sceso su un campo da calcio sono andato direttamente in porta, senza pensarci due volte. E perché ci sono storie meravigliose, di occasioni mancate, di sfortuna ma anche di grandi rivincite sportive e umane che secondo me andavano raccontate”.
Una settantina di ritratti che ripercorrono la storia del calcio. Ci faccia qualche esempio.
“Ci sono leggende e sconosciuti. Un personaggio meraviglioso è Arthur Wharton, il primo portiere nero della storia del calcio, discendente della famiglia reale ghanese, che alla fine dell’800 decide di giocare a pallone, in porta, per finire poi a fare il minatore. Ma non era solo questo: Wharton era anche un ciclista e un centrometrista di livello ed è stato inserito di recente nella Hall of Fame del calcio ingelse. C’è Canizares, che è famoso, ma la cui carriera scintillante s’interruppe alla vigilia di un importante partita in nazionale perché una mattina, mentre si faceva la barba, gli cadde la bottiglia del dopobarba e si tagliò un piede.
Un ruolo disgraziato quello del portiere.
“Non solo. Questo non è un compendio di disgrazie e basta. E’ una raccolta di storie che vuole indagare l’umanità di questi uomini che difendono la porta nel gioco del calcio. C’è per esempio la vicenda meravigliosa del francese Bats, che sconfisse un tumore ai testicoli appena in tempo per giocare i mondiali del 1986 e parare, nella stessa partita, un rigore a Socrates e uno a Zico. Oppure quella del portiere più grosso di sempre, quel William Foulke che giocava nello Sheffield a fine ‘800. Pesava 150 chili per quasi due metri di altezza e si racconta che un giorno prima di una partita mangiò 11 bistecche e poi parò due rigori. Oppure il nostro Aldo Olivieri, che giocava a calcio con una placca di metallo in testa contro il parere di tutti i medici”.
Va bene. C’è una storia e un personaggio che preferisce?
“Non proprio, ma la figura dell’olandese Jan Jongbloed è mitologica quanto tragica. Aveva giocato a pallone a certi livelli per poi ritirarsi dopo alcuni infortuni. Faceva il tabaccaio, beveva, andava a pesca: una vita normale. Un giorno, quando aveva 34 anni, squilla il telefono e si sente chiedere da Cruyff se aveva voglia di andare a giocare in nazionale. Lui accetta, si presenta in ritiro con la canna da pesca come se nulla fosse e poi si ritrova anche titolare. Giocò due mondiali. Ma la sua favola s’interruppe nel 1984, quando suo figlio, che faceva il portiere, morì in campo, dopo essere stato colpito da un fulmine”.
“Portieri, eroi di sventura” è un libro come i personaggi che racconta. Ha avuto una gestazione travagliata.
“Travagliata perché dopo aver scritto 370 cartelle mi hanno rubato il computer e sono stato costretto a ricominciare da zero. E’ stato faticoso ma la disavventura mi è servita per fare delle scelte che poi per fortuna si sono rivelate giuste.
“Portieri, eroi di sventura” arriverà nelle librerie nel mese di marzo. Prefazione di Sandro Veronesi.