Perchè una regista (non pratese), un attore di teatro e tv (non pratese), un attorautore (non pratese) si mettono all’anima di intraprendere un progetto sociale (su Prato)? Che sia forse per via della solita, maledetta, miseria culturale in Italia (in questo periodo storico)?
Facewall è un ambizioso progetto sul complesso rapporto tra italiani e stranieri nella nostra città. Leggi qui per sapere di cosa si tratta. E poi leggi qui sotto per capire com’è andata.
Intendiamoci subito: io che scrivo, in questo progetto, ho fatto poco e niente. Ho detto a un certo punto “Ehi, e se facessimo delle bandiere?”, e bona lè. E forse anche per questo mi posso permettere, e mi sento quasi in dovere, di raccontarvi alcune cose e di condividere con voi un pensiero.
Partiamo dall’inizio.
Cristina Pezzoli è una regista teatrale tra le più importanti che abbiamo in Italia. Nata a Vigevano, diplomata alla Paolo Grassi di Milano, per anni assistente di Massimo Castri, ex direttrice del Teatro Manzoni di Pistoia… eccetera. Questi pochi cenni non devono trarvi in inganno: Cristina non è certo l’intellettuale distaccata seduta in platea con un latte macchiato e la erre moscia. No. E’ una guerrigliera, una pasionaria. Tant’è che a Prato si era creata uno spazio fortemente alternativo ai circuiti tradizionali: il “Compost” (ne abbiamo già parlato, e proprio dove cadde l’asino: leggi qui). Insieme a lei nel percorso, Letizia Russo, drammaturga, e Yang Shi. E quest’ultimo, dolceamara potenza della TV, lo conoscete senz’altro tutti… è “il cinese de Le Iene”. Ovviamente poi a loro, negli anni, si è aggiunto un solido cast di validi e strenui collaboratori, quasi sempre volontari.
Dunque, qualche tempo fa (ed è bene ribadirlo subito, per puro dovere di cronaca: prima dei tragici fatti del Macrolotto), proprio in occasione dell’articolo in cui cadde l’asino, RidottOperatori, Pratosfera e gli artisti appena descritti -insieme alla loro fotografa di fiducia, la fiorentina Ilaria Costanzo– si sono incontrati per una chiacchierata informale. La Pezzoli aveva già in mente la base di quello che poi è diventato Facewall, e se n’è già parlato abbastanza.
Questi gli antefatti.
Ma perchè ve li racconto, miei piccoli lettori?
Perchè, in questi giorni in cui il progetto è in pieno svolgimento, mi nasce una riflessione.
Semplice.
Banale.
E’ normale che debbano essere gli artisti (e a volte addirittura gli intrattenitori) a occuparsi di certe questioni?
Voglio dire, e lo voglio dire da interno, e da fiero sostenitore del progetto, è normale che ci siano così tanti Micheal Moore, Ken Loach, Ascanio Celestini… Le Iene, appunto?
Secondo me non tanto. O meglio, va bene, ma dovrebbe andare in proporzione no? Esempio che non c’entra nulla ma famo a capisse: la beneficenza sostiene la ricerca contro il cancro (sacrosanto), ma è il governo del paese che la finanzia. Giusto? Eh, e anche in questo caso ci sarebbe da parlarne un bel po’.
Torniamo al nostro caso. Guardate qua. Facewall è un progetto completamente indipendente. I partner che ci sono, e che potete leggere in questa pagina, e iddio li benedica, sono stati trovati unicamente con lo sforzo degli ideatori del progetto. Nessun contributo pubblico.
Si dirà che c’è modo e modo, è vero. Altro esempio: anche il buon Pif, al momento tanto in voga, si occupa di tematiche sociali a modo suo, ma ha trovato un suo taglio specifico… che c’entrano le istituzioni in tutto questo? Nulla, ovviamente, ma ancora meno c’entrano allora nel finanziare stagioni teatrali vuote e ottuse e ottundenti. Arimortis. E poi si dirà che Facewall ha comunque tra gli ideatori una testata prettamente giornalistica (la presente appunto), e che dunque NON è attività artistica a tutti gli effetti. Ed è vero, il progetto è multiforme, e il suo risultato finale ha più dell’happening che del reportage o dello spettacolo. Infatti, tutto vero.
Ma è dello spunto iniziale che io parlo. Del perché appaia ormai naturale che determinate cose debbano uscire dal nostro ambito, quello artistico, piuttosto che dai preposti organismi ministeriali, regionali, provinciali, comunali, che pure esistono. Cioè (famo a capisse #2), una caldaia te la può riparare anche un falegname con qualche nozione idraulica, ma sarebbe più naturale rivolgersi direttamente al trombaio no?
Non so se sono stato chiaro, rileggendomi mi sembra di no, ma era solo un sassolino che volevo lanciare. Un sassolino lanciato da “addetto ai lavori”, ovvio, che ha già la sua brava bandiera appesa alla finestra di camera (quella con le due bellissime ragazze podiste in pista), che ha preso parte attiva a Facewall, ma che anche, da sempre, pensa che l’arte dovrebbe occuparsi di altrovi, di multiversi, di nuovimondi… di umanità. Un “addetto ai lavori” relativamente nuovo al teatro politico, e forse mai realmente inseribile in quel filone, che si rende conto dell’importanza fondamentale, anzi fon-da-men-ta-le, ai giorni nostri, di affrontare tematiche sociali attuali, ma che ogni tanto ha una sincera voglia di rivolgersi ai nostri politici esclamando “Ma insomma! Ci fate lavorare, cacchio?!”.
E ancora buon anno nuovo da RidottOperatori.