Le finestre del gigantesco ufficio del presidente della Furpile danno sui tetti del Macrolotto 2, la famosa distesa di fabbriche della Prato operosa che ci prova ancora. Andrea Cavicchi, elegante e barbuto, ha appena perso il portafoglio e non si capacita, esce dall’ufficio, rientra, si guarda intorno un’ultima volta e poi lascia perdere mettendosi a sedere.
Cavicchi, non possiamo che cominciare dalla tragedia del Macrolotto e dalle sue conseguenze.
“In questi giorni abbiamo assistito ad una caccia alle streghe senza precedenti. Tutti a dare la colpa a questo o a quello, a chi affitta, a chi ha le fabbriche, ai sindacati. La verità purtroppo è che tutta la città è responsabile della situazione che si è venuta a creare e adesso dobbiamo avere la forza di uscirne e soprattutto di interrogarci sul modo giusto per farlo, invece di parlare sempre e solo di cinesi”.
Ok. Ha un’idea di come uscire da questa situazione allora?
“La domanda, almeno per quanto mi riguarda, è cosa vogliamo diventare e se vogliamo ancora fare industria in questa città. Io credo che nonostante la flessione degli ultimi anni l’industria pratese abbia ancora la forza e la capacità di pensare la Prato del futuro. L’industria è il motore di tutto ma se vogliamo fare in modo che lo sia anche in futuro dobbiamo cambiare atteggiamento, dobbiamo mettere da parte il menefreghismo, smettere di preoccuparci solo della nostra azienda e cominciare invece a farlo per una città che ha perso molto della propria immagine in poco tempo e di una società, quella civile, che non è stata gestita come doveva essere gestita”.
Una sorta di risveglio degli imprenditori.
“Più che altro dobbiamo indignarci, dobbiamo ribellarci a quella parte di gestione imprenditoriale che si basa sull’illegalità e quindi denunciarla. Si, un minimo di senso civico, questa tragedia è successa a casa nostra, ci riguarda tutti, non possiamo permetterlo. Poi è anche vero che siamo al limite dell’impotenza, e che gli strumenti e le forze a disposizione per combattere il fenomeno non sono sufficienti. E questo è un altro problema”.
Inevitabile parlare di integrazione.
“E’ brutto dirlo ma finché gli immigrati cinesi non troveranno un interesse economico a regolarizzarsi, il rischio è che non si riesca a costruire nulla. L’integrazione deve essere un’opportunità, per loro ma anche per noi, e dovrà esserlo nonostante una convivenza non certo facile, proprio a livello di mentalità: noi pratesi siamo come cani sciolti in un campo, loro invece sempre inquadrati, hanno sempre una direttiva dall’alto pronta a guidarli. Però togliamoci dalla testa di mandarli via, come invece certo populismo da socialnetwork rilancia ogni tanto”.
Prima ha accennato all’immagine negativa che Prato sta mostrando in giro per il mondo. L’immagine è davvero così importante?
“Comunicare nel modo corretto è fondamentale, ma ci dev’essere sostanza dietro. Io penso che Prato abbia sempre investito poco in comunicazione e così quando capita qualcosa, finisce per subirla. Per esempio, quel “Prato non deve chiudere” del 2009 fu un messaggio sbagliato secondo me: doveva essere “Il manifatturiero non deve chiudere”, doveva essere fatto a livello nazionale con Confindustria e le altre categorie che alzano la palla e tutti gli imprenditori che gli vanno dietro, senza connotazioni politiche. Sì, io penso che per Prato adesso sia fondamentale una comunicazione adeguata, un messaggio chiaro e condiviso con il quale ripartire. Anche perché per ricostruire l’immagine di una città come la nostra serviranno quindici o vent’anni”.
Ecco, come se la immagina Prato tra vent’anni?
“Io credo che sia proprio questo il ruolo dell’industria, dare una visione del futuro di una città e per questo credo che a Prato le aziende debbano avere un ruolo importante al tavolo di governo. Dal mio punto di vista, abbiamo due grandi volani di sviluppo a disposizione e molte cose già esistenti su cui lavorare. Il primo volano di sviluppo riguarda la presenza proprio degli immigrati cinesi. Con le loro confezioni, a Prato possiamo mettere in piedi una filiera che sarebbe una bomba eccezionale. Ci vuole poco per rendersene conto. E’ in questo senso che intendevo l’integrazione come opportunità: a Prato, immigrati e aziende cinesi possono sopravvivere solo lavorando con noi, in tutta legalità. Perché una cosa del genere accada occorre però studiare un progetto vero, capace di portare business nel tempo e una perfetta combinazione tra le due produzioni, i nostri tessuti e le loro confezioni. L’altro volano di sviluppo riguarda secondo me la cultura. Questa è una cosa che gli imprenditori pratesi non sembrano voler capire e la cosa mi stupisce. Quando parlo di immagine e di comunicazione mi riferisco soprattutto alla cultura, a qualsiasi tipo di cultura. All’inizio, quando sono entrato al Museo del Tessuto, non riuscivo molto bene a capire cosa ci facessi. Lo dico per fare un esempio. Poi però ho capito: lavorare in un ambiente del genere, quindi con una mentalità diversa da quella dell’imprenditore classico, è una crescita personale incredibile. E anche dal punto di vista imprenditoriale porta i suoi frutti: da questa esperienza è nato infatti il primo film in 3D sulla lavorazione del tessile. Non sarà niente di particolare ma intanto è una cosa che nessuno aveva fatto prima. E lo stesso posso dire di altre mie esperienze: dalla sponsorizzazione del calcio a cinque, che ha portato la squadra e il nome di Prato in giro per mezza Europa alla realizzazione del cartone animato dedicato alla mia azienda. Il concetto è questo: spendersi, mettersi in gioco e mescolare i campi d’azione”.
E le cose su cui invece si può lavorare?
“Innanzitutto lavoriamo sul Made In Italy, un valore aggiunto che ancora non abbiamo capito, e ce lo dimostrano ogni giorno proprio gli imprenditori cinesi. Poi scongeliamo il Macrolotto 2 dalla bolla degli affitti perché chi vuol fare industria adesso non sa dove aprire ditta e magari perdiamo l’occasione di veder nascere qualche azienda promettente sul nostro territorio. E poi dobbiamo trovare il modo di assumere, perchè se noi non assumiamo non riusciremo ad andare avanti. Su questo fronte combattiamo tutti i giorni, ci siamo contratti ma abbiamo saputo resistere con tenacia: adesso, però, se vogliamo che il manifatturiero continui ad essere il motore di questa città non possiamo continuare a contrarci, abbiamo il dovere morale di formare le nuove generazioni e per farlo occorre ci vengano dati gli strumenti giusti per assumere. Sul lato tessuto, proseguiamo con lo studio della tracciabilità e infine puntiamo dritti sulla sostenibilità delle nostre aziende e dei nostri prodotti, cosa che grazie alle nostre infrastrutture, sto pensando per esempio all’acquedotto industriale, potrebbe essere più facile che in altre zone d’Italia “.
Cosa intende quando dice che le aziende devono ricoprire un ruolo importante al tavolo di governo della città?
“Voglio dire che l’Unione Industriale deve pesare di più nella scelta del sindaco, deve pesare di più sui programmi dei partiti e deve essere interpellata dalla politica quando si parla di industria. Mi spiego. Finora l’Unione ha sempre inviato ai candidati sindaco le proprie relazioni d’indirizzo e lo farà certamente anche in vista delle elezioni del prossimo anno. Solo che in questo momento noi abbiamo bisogno che la politica prenda un impegno serio con le imprese pratesi. Impegni nero su bianco, impegni che dovranno essere mantenuti. Quindi, è chiaro che il sindaco lo sceglieranno i pratesi, ma l’Unione vorrà essere un interlocutore forte e vorrà coadiuvare le attività del sindaco legate allo sviluppo industriale perché con lui condivide la responsabilità politica di questo sviluppo di fronte alla città. Stiamo parlando di progetti condivisi, che la politica si impegnerà a portare avanti mentre a noi e alle altre associazioni di categoria spetterà un ruolo di vigilanza, di responsabilizzazione e di programmazione”.
Ultima domanda. Che rapporto ha con la sua barba?
“Io credo che un uomo debba riconoscersi nella propria immagine e debba vedervi una coerenza con quello che pensa. Io mi sento a mio agio con questa barba. A volte scherzando dico che me la taglio quando finirà la crisi ma in realtà è un segno distintivo che mi serve a comunicare un certo messaggio. A Roma, all’assemblea dei duecento presidenti UI sono l”unico con la barba, e quando uno che si presenta così sale su un palco e dice cose sensate, poi tutti si ricordano di lui e di quello che ha detto. Con la barba sono ancora di più una specie di microfono, un microfono per Prato”.