No. Skopje non era prevista. Ma Fiasco!!! è figlio delle coincidenze: è nato per caso in una cantina fonda e dopo una serie di strani rinterzi sulle sponde di quasi tutta la Toscana, è finito in buca in mezzo ai Balcani. Skupi Festival 2013: prima e per ora unica tappa del Kulturificio n.7 “world tour”.Un drammaturgo, due attori-registi, uno scenografo, un assistente…Come da foglio di scena: Tommaso Santi, Valentina Banci e Francesco Borchi, Lorenzo Banci e Piero Querci. L’equipaggio in Macedonia è quasi dimezzato, ma esattamente sei anni dopo il debutto, è come se si fosse tutti insieme al Teatro nazionale Turco-albanese, ancora una volta a caccia delle animacce che infestano la folle veglia contadina che abbiamo messo in scena.
Siamo qua perché Luca Cortina, un altro esule felice del teatro pratese, ha presentato lo spettacolo al Festival: ci ha visti questa estate in una fattoria nel Chianti e ha detto che Fiasco!!! avrebbe funzionato anche in Macedonia. Perché no? Infatti, perché no? Così è stato. Due sedie, due attori alati, un fiasco, infiniti personaggi, una lingua toscana che quando si vuole è lingua davvero e non vernacolo, una traduzione in macedone fatta come si deve… E allora, eccoci qua. Skopje forse non è una bella città, ma è uno di quei posti per cui si può sentire a lungo un po’ di nostalgia.
La nostalgia dello straniamento che ci ha accompagnato per tutto il nostro viaggio, e che abbiamo provato la prima volta quando un tassista ci ha lasciati in mezzo al mercato del quartiere albanese: “Siete arrivati, là c’è il teatro”. E noi, che credevamo di aver frainteso, siamo rimasti inebetiti quando, fatti quattro passi, ci siamo trovati di fronte a un enorme edificio, una specie di astronave titina segnata dal tempo e atterrata in mezzo a un bazar. “Che ci facciamo qua?”. Questa sensazione di esserci persi, non ci ha mai abbandonati e solo alla fine abbiamo capito che proprio quel teatro, in quel luogo, ha dato un senso alla nostra presenza a Skopje.
E’ da presuntuosi pretendere di conoscere un Paese in pochi giorni, ma il corso dell’attuale storia della Macedonia ha nei quartieri e nelle strade della sua capitale dei tratti evidenti, quasi plateali, che raccontano sogni di grandezza e divisioni etniche. Da una parte c’è la Skopje macedone, ortodossa, dove fioriscono statue di guerrieri e palazzi neoclassici, simbolo della ricerca di una nuova grandeur, della costruzione artificiale di un passato eroico. Dall’altra c’è la Skopje albanese, musulmana, in cui molti dei suoi abitanti sono talmente fieri della loro diversità da non voler imparare neppure la lingua macedone, con il risultato estremo che nelle scuole i ragazzi frequentano le lezioni divisi in due turni distinti, a seconda dell’etnia. In mezzo c’è il quartiere turco, unica traccia storica all’interno della città, perfettamente integrato in essa e di fatto diventato una sorta di zona franca che fa da cuscinetto tra i due gruppi divisi. In tutto questo, recitare nel Teatro turco-albanese assume dunque un significato.
“Speriamo che qualcuno venga a vedervi”, ci hanno detto. Siamo rimasti perplessi, perché nei giorni dell’allestimento dello spettacolo, non abbiamo sentito divisioni: turchi, albanesi, macedoni, lavorano insieme. Le differenze ci sono, ma stanno fuori. Mi sono trovato in macchina con il direttore del Festival che nel mezzo di una discussione, ha ritenuto necessario precisare: “Per me non c’è nessun problema: cristiani, musulmani… Non mi interessa”. Ho riso: “Neanche a me interessa. Noi apparteniamo a una sola religione: il teatro!”. E’ stato contento della mia risposta semi-seria, ed è finita lì. Ma tutti e due sapevamo che non si trattava di uno scherzo. Ne abbiamo avuto la prova la sera dello spettacolo, quando la sala si è riempita. La tribuna piena di pubblico, le file di sedie aggiunte ai lati della scena. Si è ripetuto il miracolo.
Il teatro ancora una volta è diventato una via di fuga, lo spazio del sogno e del fantastico, un’altra dimensione di libertà; una terra consacrata dove il quotidiano – faticoso, opprimente, violento – per qualche ora non esiste e scompare; il territorio dove la diversità non ha senso. E nel caso di Fiasco!!! tutto ciò è stato plateale: attori italiani, lingua toscana, sovra-titoli in macedone, tecnici e pubblico da ogni parte della città. E’ stata una magia. E’ stato bello. Ecco perché la nostra presenza lì, in quel teatro atterrato in mezzo a un bazar, ha avuto un senso.
Tommaso Santi