In attesa dei film di Cannes, dei pochi che usciranno (sicuramente il giovane superduo lesbo della Palma d’Oro La vie d’Adele di Kechiche, Venus in Furs di Polanski, sulla scia di Carnage, con la supermilf Emanuelle Seigner e Behind the Candelabra dell’attivissimo Soderbergh con i superfrocioni Michael Douglas e Matt Damon – ce n’è per tutti i gusti insomma) e di quelli dell’edizione precedente (!) che si apprestano ad uscire (il capolavoro Holy Motors), arrivano intanto 4 film nelle sale pratesi.
Qualche giovane critico 2.0 vi consiglierà sicuramente come film della settimana SOLO DIO PERDONA, che non è un sequel fuori tempo massimo di un film con Bud Spencer e Terence Hill ma il film del Re del Cinema Fighetto W. R. Refn. Il critico della fanzine 2.0 di cui sopra, lo stesso che magari scrive che David Lynch è sopravvalutato e non vale quanto Nolan e ha eletto Drive a film del secolo senza aver visto né Driver di Walter Hill, né Vivere e Morire a Los Angeles e nemmeno Taxi Driver, ne parlerà sicuramente di un capolavoro assoluto incompreso dai critici soloni di Cannes che lo hanno fischiato (gli stessi critici che avevano acclamato Drive premio alla regia). C’è l’idolo degli hipster Ryan Gosling quindi se siete hipster è logico che non potete perdervelo (anzi il fatto che abbia fatto schifo ai soloni di cui sopra lo nobilita – e poi c’è Cliff Martinez, ex batterista dei Red Hot Chili Peppers che però pare abbandoni l’elettronica catchy per droni, rumori e ambient massiccia). Noi non l’abbiamo ancora visto quindi non possiamo confermare o smentire le nostre perplessità nei confronti del cinema di Refn, sicuramente affascinante da un punto di vista visivo, ma incredibilmente poser (Valhalla Rising era in fondo video art coi vichinghi), sicuramente dotato di un gusto manierista post-post-moderno, ma totalmente incapace di andare in profondità, cinema nato morto o devitalizzato, privato di un rapporto costruttivo con la vita, quasi sempre disinteressato ai suoi personaggi (i sentimenti utilizzati in Drive come fossero elementi di arredo) e alle storie che racconta (lo stampino del primo Pusher riutilizzato per quasi tutti i film successivi) e capace di saccheggiare senza il rispetto godardiano (e rivitalizzante) di un Tarantino il vecchio cinema per darlo in pasto consapevolmente a un pubblico che spesso non lo conosce (le clamorose assonanze di un film comunque affascinante come Bronson – forse il miglior Refn – con l’Arancia Meccanica di Kubrick). Chi ha visto Only God Forgives dice che stavolta non siamo dalle parti di Drive, ma da quelle anticommerciali e contemplative di Valhalla Rising. E noi che speravamo in un film di genere coi contro cazzi (cosa che Refn potrebbe fare alla grande se abbandonasse per qualche mese le gigantesche pretese autoriali). Vabbè, stiamo a vedere.
Appassionati del cinema cazzonedemenziale americano gioite. Dopo mesi di stanca arriva UNA NOTTE DA LEONI 3 di Todd Philips. Philips è uno specialista del genere, venuto fuori dal giro Frat Pack (ha diretto Will Ferrell in Old School e Owen Wilson nel brutto Starscky & Hutch) si è imposto con Una notte da Leoni che è diventato – giustamente – un piccolo classico della comicità fracassona (anche per l’intuizione di virare verso l’assurdo alla Coen, pur rimanendo nelle logiche commerciali e di superficie). Parto col folle, altro film con il nuovo divo Galifianikis (più Belushi lui, grazie a uno sguardo folle, di Jack Black, sicuramente) era assai deludente, mentre Una notte da leoni 2 aveva l’enorme difetto di rifare esattamente il primo film cambiandone l’ambientazione, perdendo in freschezza e non guadagnando abbastanza in delirio. Nel mezzo Philip ha trovato il tempo di produrre Project X, cazzatone molto divertente e pietra tombale del cinema in POV e si è pertanto imposto come il “Re della Baldoria” delle commedie demenziali fracassoni. Una notte da leoni 3 torna quasi ai livelli del primo. Cambia la trama (gli amici inseguono Alan, Galifianikis, in fuga dall’ospedale psichiatrico prima di venire rapiti da un grandissimo John Goodman), tornano alcuni personaggi del passato (la Graham, è sempre un piacere) e tra le new entry arriva la scatenata Melissa McCarthy, già vista nel divertente Le amiche della sposa. Per una serata all’insegna del disimpegno è l’ideale (e gli innesti action renderanno felici anche i truzzi che hanno già visto Fast & Furious 6).
Il cinema al femminile torna con il simpatico TUTTI PAZZI PER ROSE, consigliatissimo a tutte le fan di Audrey Hepburn (ci sono donne che non la amano?). In Francia producono commedie romantiche anni 50 con costumi, richiami alla Screwball Comedy e colori technicolor mentre noi facciamo film grigi sull’eutanasia con Jasmine Trinca. Garante del buon risultato è Bérénice Bejo, la meravigliosa protagonista di The Artist, che torna qui in versione redhead come coprotagonista insieme a Deborah Francois, già vista ne L’Enfant dei Dardenne (una specie di Doris Day che veste come la Hepburn e sogna di diventare segretaria). Siamo dalle parti delle ricostruzioni cinefile, leziose e maniacali di The Artist, senza quelle due o tre intuizioni genialoidi che hanno contribuito al successo del film di Hazanavicius, ma con una capacità produttiva che sbalordisce, così come la gestione del ritmo e del racconto, che deve tantissimo ai capolavori di George Cukor, My Fair Lady in primis. Consigliato anche a chi ha riscoperto gli anni Cinquanta con Mad Men anche se non ci sono le puppe della Hendricks.
Torniamo in Italia e ci tocchiamo le palle. Giancarlo Giannini torna alla regia con TI HO CERCATA IN TUTTI I NECROLOGI, noir surreale, misticheggiante e ambizioso. Troppo ambizioso. Cita Lynch, M il mostro di Dusseldorf, ma si arena nei limiti del cinema provinciale che vorrebbe farsi internazionale e finisce per suonare artificioso. Lode al coraggio produttivo, anche se avrebbe giovato un altro titolo. Almeno non c’è la Trinca, ma insomma…
Sabato e domenica per i ragazzi ci sono gli ARISTOGATTI. Imperdibile per i piccoli lettori di Pratosfera (anzi ne approfitto: scusate per le parolacce di sopra, piccoli lettori di Pratosfera) o i genitori lettori di Pratosfera. Come per la riedizione de La Carica dei 101 è “one shot one kill”. O ve lo vedete questo fine settimana oppure sparisce dalle sale come una lacrima nella pioggia e la prossima settimana vi tocca portare i figli a vedere qualche sottoprodotto francese con l’animazione scrausa.