“Ho iniziato a scrivere per caso su un quotidiano locale e devo dire che mi eccitava poco perché io volevo raccontare le cose in modo più articolato, così ho aperto un blog” confessa Daniele Rielli al telefono, una mattina di maggio.
Forse nelle scorse settimane avete letto sul Venerdì di Repubblica il reportage sul Salento alle prese con la Xylella, il batterio che attacca gli ulivi, oppure quello più lungo e articolato comparso su Internazionale sempre sullo stesso argomento. Ecco, l’autore di questi due articoli è sempre lo stesso, solo che in calce al pezzo sul Venerdì il nome dell’autore non è Daniele Rielli ma Quit The Doner. Quit The Doner come l’omonimo e seguitissimo blog. Quit The Doner quello dei “5 buoni motivi per non votare Grillo” che ha vinto i Macchianera Internet Awards (185 mila condivisioni, 600 mila lettori) e quello dei lunghi, esilaranti reportage per Vice alla scoperta dell’Italia dei nostri giorni confluiti poi nel libro “Quitaly” (Indiana Editore).
Quit The Doner – Daniele Rielli sarà a Prato domani 27 maggio, al Museo Pecci (ore 18, ingresso libero) insieme a David Allegranti, giornalista del Corriere Fiorentino, per l’incontro “Da inchieste a storie: il futuro del giornalismo”. Non è certo un caso. Perché in un mondo all’apparenza stantio come quello che si para di fronte a tutti coloro che sognano di fare il giornalista oggi in Italia, la storia di questo emiliano classe 1982 racconta che qualcuno può risalire la corrente e dall’anonimato di internet finire per essere cercato e blandito anche dai vetusti pachidermi dell’informazione italiana. E può riuscire a farlo, tra l’altro, attraverso una forma giornalistica che in Italia è davvero rara, almeno fino ad ora, quella propriamente detta, alla maniera anglosassone, long form journalism, quel giornalismo narrativo fatto di pezzi lunghi e lunghissimi, ricchi di analisi, di personaggi e di foto. Magari è solo l’eccezione che conferma la regola, ma rappresenta comunque una piccola gemma nel panorama italiano.
Da blogger a giornalista freelance, se così si può dire
Per questo è giusto considerarlo una figura molto interessante con la quale discutere lo stato del giornalismo oggi in Italia. Dopo aver scritto alcuni tra i reportage più interessanti e divertenti degli ultimi tempi ed essersi guadagnato sul campo il tesserino e lo status di giornalista, il blogger Quit The Doner (che è un invito a mangiare meno kebab) è uscito allo scoperto rivelando il proprio nome in occasione dell’uscita del suo primo romanzo, “Lascia stare la gallina” (Bompiani). “Non ho niente contro i blogger, essendolo stato, ma se sei pagato per fare un lavoro, se vieni inviato nei posti, non è il momento di ridefinire la posizione?” si domanda Rielli in una bella intervista rilasciata a Minima et Moralia. Trovata commerciale o meno, sicuramente legittima, è comunque il punto di passaggio tra due mondi che purtroppo in Italia vengono ancora considerati scollegati: Internet e le cose serie.
I suoi reportage, lunghe e lucide analisi cariche d’ironia e disincanto come “Il declino dell’impero del botox” oppure “Il festival del bottiglione” comparsi su Vice (o Linkiesta), hanno appunto fatto quello che si dice possa fare internet al giorno d’oggi: elevare a ben altra condizione un perfetto sconosciuto. Poi è chiaro che conti, più di altro, la qualità di quello che fai. “Diciamo che il blog è servito per professionalizzarmi – ammette Quit-Rielli – in questo, internet ha una potenzialità enorme. E io mi sono ritrovato a scrivere cose molto lunghe perché mi sono sempre pensato come narratore e non come giornalista vero e proprio. Alla fine sul web tu sei la firma, tu sei l’autore e questo, con un po’ di fortuna, può farti avere grande visibilità”.
E catapultarti nel mondo del giornalismo contemporaneo. Oppure farti diventare un punto di riferimento per tanti lettori e anche una sorta d’apripista per nuove forme di racconto della realtà, almeno in Italia. “Mi piace raccontare, analizzare e ibridare generi e registri come fanno da tempo nei paesi anglosassoni o in Germania, e ho scoperto che questo modo di lavorare piace ai lettori e anche ai giornali italiani, visto che hanno cominciato a pagarmi per farlo – racconta – Le news, quelle brevi, per me hanno sempre avuto poco valore tanto che presto potrebbero essere affidate ad un algoritmo, per quanto valgono. Quello che non è rassicurante, in questo senso, è la mentalità conservativa del giornalismo italiano: siamo alle prese con il più grande cambiamento che si ricordi, di fronte al quale o si cambia o si muore, ecco io penso che in questo caso si potrebbe anche morire cambiando. Quello che voglio dire – precisa – è che in Italia il giornalismo sta cambiando troppo lentamente, forse perché non esistono editori puri e bisogna fare sempre gli interessi di questo o di quello, ma visto che la situazione permette di sperimentare qualsiasi cosa, dovremmo prendere il meglio degli altri e filtrarlo attraverso la nostra cultura. Magari arrivando alla formulazione di qualcosa che in questo momento mi viene da chiamare “Mediterranean Journalism“.
Un cambiamento e una declinazione che legata stretta stretta alla figura dei giornalisti quelli giovani, una delle questioni storiche del giornalismo italiano. “Bisognerebbe che i giornali assumessero i giovani e tornassero a formarli – dice Quit-Rielli – senza giovani giornalisti un giornale perde il racconto di una parte di mondo, gli mancano i riferimenti simbolici per interpretarlo, gli manca il vocabolario per descriverlo”.
Daniele Rielli, scrittore e giornalista
In quanto a vocabolario e a registri, Quit The Doner non scherza per niente. Solo quello dell’anonimato adesso sembra venuto meno, e non è detto che sia un male. “Ho vissuto nascosto per molto tempo – racconta Quit-Rielli – e alla fine quello di celarsi dietro uno pseudonimo è diventato un problema da gestire”. A Minima et Moralia ha raccontato, per esempio, come ci si sente ad entrare alla Camera dei Deputati con un pass a nome “Quit The Doner” e “gli episodi – dice – sono stati tantissimi”. Poi è arrivata l’occasione giusta per riunire i due personaggi, che si può trovare nelle librerie proprio in questi giorni. Ambientato in Salento, terra cui Rielli è molto legato, “Lascia stare la gallina” ruota intorno al personaggio di Salvatore Petrachi e alla sua sete di potere. L’ambizione come chiave di lettura dell’Italia di oggi? No. Piuttosto l’ambizione sfrenata messa a contrasto con “l’assenza di competizione che anima il nostro paese” spiega l’autore, per raccontare l’eterna diatriba tra bene e male. “Petrachi è un italiano un po’ sui generis, è consumato dall’ambizione e si muove in questo ambiente di provincia che non è pronto alla sua fame di potere. Poi ci sono altri quattro personaggi centrali nel romanzo, e per ognuno di essi ho cercato di creare un linguaggio che li caratterizzasse, che fosse espressione del loro mondo”. Registri, appunto.
Se il volto di Quit The Doner è ormai svelato e lo stesso pseudonimo di questo irriverente e disincantato narratore di mondi sembra destinato ad un lento declino – “anche la scrittura sul blog mi comincia a stare stretta” dice il suo proprietario – ecco fare la sua comparsa Daniele Rielli, giornalista narrativo, scrittore, creatore di mondi. E la sua promette di essere un storia ben più complessa di quella del suo alter ego.